venerdì 24 aprile 2009

In memoriam J. G. Ballard

E' una delle voci che, tristemente, viene depennata nella mia lunga lista delle cose da fare: quattro parole al bar della spiaggia con J. G. Ballard.
Sarebbe stato bello, una birra gelata e lo sguardo sui bagnanti sorpresi nell'affanno dell’abbronzatura e delle creme solari col pensiero inceppato nella scelta del ristorante prima della passeggiata serale.
Mi sarebbe piaciuto riflettere insieme dei brividi perduti nella bruciante parabola del Novecento e della nascita di un nuovo continente psichico. Era stato lui per primo a percepire le fanfare gorgoglianti di questa sconosciuta Atlantide.
J. G. ci ha lasciato da qualche giorno e adesso veleggia risalendo la corrente karmica lungo le frastagliate coste della sezione aurea dell'inconscio, finalmente dispiegato. Nato a Shanghai, cresciuto in un campo di prigionia giapponese, aspirante medico e infine scrittore, fotografo, sociologo dell'inconscio di massa...
Un autore autenticamente globale, della stessa caratura di un Conrad alchemico oppure di un Verne immerso per ventimila leghe sotto la pellicola delle convenzioni sociali. Ballard, palombaro della psiche, chirurgo surrealista, non mostrava paura illustrando con dovizia darwiniana la continuità tra il nostro mondo e le zone d'ombra che lo tengono assieme.
Ballard scompare in questo anno di crisi mondiale, di commemorazione lunare e di isterismi atomici che, in visionario anticipo, aveva descritto con pazienza da entomologo nei suoi brillanti libri. Ognuno prezioso, solido e sfaccettato nella sua astratta concretezza: dal catastrofismo ecologico e psichico alle mitologie dell'era spaziale passando per le ossessioni dell'homo novus sotto l'attacco dei mass media. Tutto narrato con garbo e precisione, come un'escursione vittoriana in un giardino sognato da Magritte.
Io ti ringrazio J. G.