lunedì 16 dicembre 2013

Un film firmato Frank Zappa




I nuovi ricchi della città non somigliano ai vecchi grigi custodi del capitale e si inventano - con l'aiuto di martellanti pr - fantasiose occasioni per sfoggiare il loro invidiabile status. Ed ecco che sono tra gli ospiti di una signora di nazionalità incerta con un marcato accento cino-padano - camicia bianca con colletto ad ali di cigno e gilet nero seppia come i suoi capelli racconti in un doppio chignon - che apre le porte del suo salotto. In realtà è un piano intero di un grattacielo che si affaccia sul corso principale della city. Noto la folta moquette color sabbia, quadri dalle pesanti cornici dorate. Guardo dalle vetrate i palazzi ridipinti dalla luce del tramonto. La posizione è strategica: non siamo troppo in alto - si possono distinguere i modelli delle auto in strada - nè troppo basso - la foschia dello smog non intacca la veduta -.


Per inaugurare questo spazio consacrato agli incontri culturali e ai fatti suoi, la signora ha pensato bene di commissionare un film d'arte a due registi di grido. Presente soltanto uno. Applausi e cono di luce su... ma quello è Frank Zappa. O almeno una versione giovanile con baffoni neri e capelli sulle spalle. Vorrei capire meglio, ma l'afflusso degli ospiti impedisce liberi movimenti. La signora continua a intrupparci: avanti, avanti. Finchè pure lei deve ammettere che siamo pigiati indecorosamente stile treno pendolari. Ma la soluzione è a portata di clic su un tavolino dalle gambe arcuate addossato al muro. La parete opposta alla vetrata si spalanca e compare una grande camera da letto. Meglio dire "con letto" perchè questo è vasto quanto un ring. La signora con nonchalance incoraggia a entrare e farsi attorno alla sua smisurata alcova. C'è malcelata malizia mentre invita a stringersi e farsi avanti.

Finalmente sistemati possiamo voltarci verso la vetrata che si oscura per la proiezione del film. E' un film muto, anzi è un videoclip. Da quello che capisco è la storia di un mago-guaritore che gira mascherato e compie prodigi. Le scenografie sono caratterizzate dal bianco, dal rosso e dall'oro, il paesaggio si vela di luci fluorescenti verdi e rosate quando i suoi poteri operano. E più il suo dono si rivela efficace più il suo cammino accelera in bilico tra la parata trionfale e una impossibile fuga da se stesso. Mi resta impressa una sequenza con ambientazione veneziana: il nostro avvolto in un mantello carnevalesco balza in un canale e sotto i suoi piedi spuntano esagoni bianchi e rossi che per la meraviglia degli spettatori si animano rivelando il furore del mago.

Il film termina bruscamente. La signora spiega che non c'è stata la possibilità di concludere l'opera, ma meglio qualcosa che niente. E così via a fare festa. Ma in un altro piano del grattacielo, nel seminterrato, nei garage adibiti a dungeon party. Non so cosa abbiano avuto in testa gli arredatori ma quello che vedo somiglia a un rifugio antiaereo militare scavato nella roccia, piccole stanzette illuminate da fili di fibra ottica con il sottofondo musicale governato da impassibili dj. E proprio accanto a un filamento di luminarie intermittenti incrocio il giovane Zappa che sembra il martire di una crociata al neon. Gli accenno del film e spiega candidamente che ha litigato con l'altro collega e così non ha avuto tempo per dare una forma compiuta all'opera. Sono interessato al progetto? Certo che sì.


Passiamo al giorno dopo, l'appuntamento per discutere del film è all'interno di una mostra dedicata a Batman e al bat style. Il tutto in una soffitta con pipistrelli di gomma che penzolano all'altezza della testa. Zappa mi indica alcune tavole steampunk che sembrano uscite da albi della Bonelli. Mi parla di una svolta dark allo stile del film e io immagino che la committente non ne sarebbe felice. Non siamo gli unici visitatori e Zappa viene avvicinato da un paio di ragazze vestite da dame di Versailles. Io sfoglio un manga con le avventure di un improbabile bat kid cercando di origliare la conversazione ma con scarso successo. Le dame se ne vanno tra risatine e sventolamenti di fazzoletti e pizzi. Zappa le saluta e ammiccando si avvicina annunciandomi d'aver combinato. Ma io esito: siamo oltre il fossato della maggiore età. Zappa ride: quel traguardo le signorine l'hanno già doppiato. E poi si lancia giù per le scale di gran carriera.

Io lo seguo, sbuco in una piazzetta pedonale attraversata da trincee per skaters. Mi guardo intorno. Poca gente, qualcuno passeggia con bimbi e carrozzine, c'è chi legge il giornale. Zappa è sparito. O forse è quel tizio là in fondo. Lo raggiungo, lo fermo e questo mi guarda con un sorriso beffardo. In quel momento realizzo che Frank Zappa è morto da anni e che quel giovane che si spacciava per lui era una specie di mutaforma, un imitatore bravo a condizionare l'interlocutore, un maestro di persuasione. L'incantesimo è svanito, si volta e se ne va lasciandomi con un pugno di dubbi.

Finchè non mi scuote un altro passante. E' un ragazzo biondo dagli occhi azzurri: sono io l'altro autore del film. Io invece sono sospettoso, non mi sembra che il soggetto abbia tutte le rotelle al suo posto. Ha i capelli tagliati corti, indossa un bizzarro poncho decorato con motivi geometrici e brandisce una grossa radio seventies poco portatile. Ha l'aria di un uomo da marciapiede caduto in disgrazia. Sgrana occhi come per prepararsi alle pepate domande di una serrata intervista. Io cerco solo di sganciarmi con destrezza, tanto più che la radio vintage rivela uno schermo: noto l'immagine di un lottatore di sumo che fa esercizi. Un pensiero indefinito allora collega il lettone ring della signora ai litigi dei giovani cineasti. Non vado oltre e decido di svegliarmi.

photo Kyl