venerdì 28 dicembre 2012
La roggia e la cicatrice
Indagine in corso. Finalmente faccio il mio mestiere e con finta disinvoltura mi spingo tra i caseggiati di un quartiere di periferia ben noto alle cronache. All'apparenza è una zona residenziale luminosa dove i palazzi naviformi contendono la luce agli spicchi di verde delimitati da camminamenti di cemento. Eppure c'è un mistero da illuminare per la curiosità dei miei lettori. Lo sento nel cuore il peso di questa missione, non per fidelizzare – termine che sa di guinzaglio – ma per non tradire le aspettative di chi mi segue sulle pagine del giornale.
Ho divagato fin troppo in amenità pasionarie e sento che occorre una sterzata nel reale. Ecco perché nel teporoso pomeriggio marcio per deserti cortili comunicanti in un canyon di palazzoni storti che paiono spuntare da terra come zanne squadrate di giganti. Edifici pieni di finestre rettangolari poste a eguale distanza come francobolli da collezione. Dagli ultimi piani pendono rigogliose liane d'edera che si attorcigliano ai davanzali. L'effetto capelli al vento dà quasi delle espressioni umane alle facciate.
Dopo aver studiato le sagome irregolari di alcune costruzioni noto la presenza di cavi e teleferiche. Un sistema di trasporto ad alto rischio che però supplisce la mancanza di ascensore. Il terreno dei cortili è accidentato: si aprono tra il verde e il cemento dei sentieri delle fangose trincee da lavori in corso.
All'improvviso, come ispirato, mi arrampico per la facciata di un palazzo che si inclina con pendenza di 45°: quando raggiungo il culmine della performance alpina mi domando se sia questa la strada giusta, dopo tutto il guaio può anche stare ai due capi della teleferica. E così uno sguardo vertiginoso dal 5° piano mi fa individuare una roggia placida dove l'acqua ha l'aspetto di colla liquida, trasparente.
Ridiscendo la parete a ragno e cammino lungo le brumose rive di terriccio fino a una pozza dove è semi sommerso un container bianco. L'imprevista visione mi dà un altra scossa e cerco di trovare un altro punto di guado o vedere se ci sono scritte che possano fornire una nuova pista. Aiutandomi con una trave di legno da cantiere arrivo sul tetto del container, ma appena lo sfioro la sostanza con una scarpa ecco che prende fuoco: svento comunque il pericolo di diventare una torcia umana. Battendo freneticamente il piede a terra smorzo le fiammelle. La suola è intatta e posso affrontare il tragitto del ritorno.
E' un pasticcio. Cos'è quella roba e chi l'ha versata in mezzo alle case? Si è riempito un fossato che sta attorno a un caseggiato. Temo che possa riversarsi negli scantinati, o forse è già accaduto. Ma non voglio essere eccessivamente allarmista e cerco di avvicinare qualche residente. Scorgo in un androne due donne borse della spesa attorniate da bambini giocanti. “Scusate, sono...” Mi investono subito di parole, getti verbali che fatico a decifrare. La più anziana lamenta l'inazione dei miei colleghi. Una litania che pare non finire.
Con un gemito perentorio mi impongo nella conversazione a senso unico e chiedo ulteriori spiegazioni. La donna con la pelle a pergamena, insolitamente abbronzata – forse dal sole della costa Brava – replica col solito misto di disillusa rassegnazione condita da sprazzi d'ironia. Io non posso garantire soluzioni ma illustrare il problema ai lettori, incalzare chi deve darmi risposta. Il sorriso vacilla. S'intromette la donna più giovane che mi dà una versione dei fatti più colorita, un collage di spizzichi e sentito dire. Mi pare sia più impegnata a mostrarmi che non ha il piercing sulla lingua, ma una bianca cicatrice. Un incidente d'infanzia?
Caravaggio country road Foto Kyl
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