sabato 31 dicembre 2016

La sfavola della ricostruzione




Siamo nel cuore di una grande e bella città, piena di luci, di traffico ordinato e comodità per tutti. Una città ricca e moderna, con alloggi lussuosi e servizi automatizzati, cibo per ogni palato e trasporti gratuiti. Ogni sera le strade e i locali si animano celebrando gioiose ricorrenze dalle origini ormai dimenticate. I ristoranti si riempiono di avventori desiderosi di sperimentare nuovi sapori e lo stesso accade nelle arene del divertimento che pubblicizzano i loro show con droni volanti. Tra la folla variopinta ed elegante che sciama per le vie principali del centro balenano tanti bianchi sorrisi e calorose cordialità.

Sulle facciate possenti e slanciate dei palazzi danzano le proiezioni roboanti dei consigli per gli acquisti, scintillano di rimando le vetrine piene di prodotti allettanti che si autopromuovono ammiccando ai clienti con trilli e jingle. Treni e bus sono carichi, molti si ritrovano in coda alle casse dei grandi magazzini, ma nessuno si lagna. Gli sguardi del popolo in attesa vengono diligentemente catturati dalle evoluzioni in 3D di personaggi immaginari e famosi. I bambini regolano i loro recettori da collo sulle scaramucce interminabili Tom e Vlady, il topo stelle strisce e l'orso eurasiatico dei cartoni. Sulle banchine delle stazioni gruppi di adolescenti sintonizzano i connettori dei loro orecchini sui live dei cantanti estinti, che aleggiano sui binari si rivolgono direttamente ai seguaci sporgendosi dall'aura di gloria sempiterna. Spingendo quietamente il carrello al fianco della consorte, i mariti si godono il match del momento ambientato da giocatori virtuali direttamente tra gli scaffali del market. Un tocco della cintura basta per passare dal calcio allo sci, dal rock ad un serial fantasy.

La città ha anche una periferia, che non fa rima con degrado, è soltanto una zona più tranquilla dove la gente va a riposare e a cambiarsi prima delle serate in discoteca. C'è una strada in particolare, non molto lontana dalla fermata del metrò, una via illuminata da vecchi lampioni a lanterna, dove i condomini sono tozzi, le pareti di mattoni, scale antincendio di ferro. L'edificio all'angolo ha qualcosa di familiare, pare uscito da un set cinematografico ambientato nella New York della seconda metà  del '900.

Una decappottabile rosa shocking con alettoni in coda, svolta e parcheggia davanti all'ingresso. Prima che il conducente possa scendere, il marciapiede si apre e inghiotte la macchina evitando ogni ingorgo nella strada già sgombra. Pochi istanti e da un foro apertosi nel selciato sbuca la figura di una graziosa ragazza in minigonna e alti stivali bianchi. Dal casco da pilota, sormontato da un paio di leziosi occhialoni protettivi color panna, spunta una lunga coda di capelli biondi. Il suo visetto dal nasino appuntito pare adombrato da pensieri che le disegnano un paio di righe dispettose sulla fronte. Si rassetta inutilmente il lucido tailleur sportivo che fa risaltare le curve del suo corpo ben proporzionato, ma prima di varcare l'ingresso solletica con determinazione il braccialetto al polso sinistro. All'improvviso il vestito cambia: indossa un completo estivo bianco giglio e un cappello a falda larga, alle labbra appoggia un lungo bocchino per sigaretta (già accesa) e lo sguardo viene protetto da cinematografici occhiali da sole strategicamente ornati di brillantini.

Le porte si spalancano per farla entrare, in pochi passi che risuonano nell'atrio vuoto foderato di finto marmo raggiunge l'ascensore con la pulsantiera d'ottone. Era attesa e non ha neppure bisogno di scegliere il piano. La ragazza viene depositata al terzo, percorre il parquet del corridoio con l'agilità dei suoi ventidue anni vissuti in spensieratezza e arriva davanti alla prima porta sulla sinistra. Sta per bussare, ma si trattiene, resta con il pugnetto a mezz'aria. Poi si leva il cappello, rivelando uno chignon nero ala di corvo e tende l'orecchio per cogliere qualche rumore dall'interno. Ma non ha il tempo di sentire nulla.
"Ciao Miriam. Perché non entri?", dice la voce di un uomo oltre la porta.

Miriam esegue l'invito del suo invisibile interlocutore, però gira la maniglia con fare stizzito. Oltre la porta c'è un vasto soggiorno, una sorta di open space con salotto, sala da pranzo e cucina riuniti in un solo ambiente. La parte principale è delimitata da un lungo divano imbottito e tre solide poltrone che si affacciano sul televisore. Proprio davanti all'apparecchio c'è un giovanotto dalla mascella volitiva in canottiera e pantaloncini che la guarda sorridente e intanto pizzica distrattamente la corda del suo arco da caccia. La parete di fronte a lui, quella che dovrebbe ospitare la finestra di casa e uno scorcio del panorama cittadino, mostra invece il fitto di una foresta. Una brezza agita il denso fogliame indicando la presenza di animali in transito tra i cespugli e gli alberi. Ma Miriam non riserva che una rapida occhiata allo scenario imprevisto.
"Perché non rispondi ai miei messaggi?".
"Oh, hai ragione, devi scusarmi ma questa sessione è stata particolarmente intensa. Pensa che ho infilzato anche un cervo...
"Un cervo, dici? Un animale con le corna...
"Ovvio...
"Ma non sarà che queste corna vuoi metterle alla sottoscritta?".
"Miriam, per favore...
"Dorian, per favore... non mentire: ti sei stancato di me? Abbi il coraggio di dirlo! Dimmelo in faccia!
"Ma di cosa stai parlando?
"Parlo di un tradimento!
Dorian fa per parlare ma viene interrotto subito.
"È l'ultima sera dell'anno, abbiamo un tavolo prenotato tre mesi fa la cena al palazzo del ghiaccio e poi il ballo al teatro municipale. Ci aspettano gli amici per l'aperitivo e tu...e tu sei qui a caccia di cervi!!!
Dorian butta l'arco sulla poltrona e muove un paio di passi verso Miriam: "Ti prego non pensare male. Io non ti nascondo nulla, e solo che non mi va...
"Non ti va?? Ma che vuol dire? Se non stai bene posso capirlo, ma te ne stai qui a giocare, che senso ha?
Dorian infila le mani nelle tasche dei calzoncini e stringe le spalle: "Il fatto è che mi sono reso conto che stasera quello che desidero davvero non sono cene, balli e spettacoli, ma semplicemente un po' di tempo per me".
Miriam avvampa e il colorito purpureo sulle guance risalta ancora di più nel bianco del vestito: "La verità è che TU non meriti la mia attenzione. Ma io non intendo farti da stampella quando ti farà comodo. E inoltre stasera non rovinerai la mia festa di fine dell'anno, perciò ti saluto: me ne vado. Non mi vedrai più!
"Non ne sono certo - dice Dorian ammiccando -. Ma non ci vedremo soltanto per un po', il tempo di sbollire la tua rabbia e il mio fastidio.
"Come ti permetti! Io..."
Prima che Miriam possa continuare Dorian sfiora quello che a prima vista sembra il cinturino di cuoio di un comune orologio da polso. L'effetto è istantaneo: Miriam, congelata nella sua ira, svanisce nel nulla.
Dorian alza gli occhi al cielo e decide di andare al mobile bar per farsi un goccio. Mette tre cubetti di ghiaccio nel bicchiere e versa tre dita di scotch.

Bussano alla porta.
"Avanti!" Strilla Dorian con poco garbo.
Apre la porta un'anziana signora dall'espressione severa, anche se la corona di capelli grigi e soffici le da un'aspetto amabile e innocuo. È  vestita di un semplice golfino di lana blu su una camicia gialla con i bordi del colletto arrotondati. Procede con un passo fermo ma misurato, come se fosse su una barca e non volesse perdere l'equilibrio. Si blocca proprio nello stesso spazio occupato da Miriam pochi istanti prima.
L'apparizione muta non turba Dorian: "Oh, sei tu Lia."
"Già... Avete discusso di nuovo" osserva l'anziana usando un tono neutro che però non nasconde una nota di sconforto.
"Oh, avrai sentito. Quando strilla quella riesce a perforare i muri... E anche la mia pazienza".
Lia esplora l'ambiente con occhi azzurri indagatori. Le sopracciglia aggrottate in posa miope accentuano la sua contrarietà, quasi fosse in grado di avvertire nella stanza una forma di disagio non identificata.
"Avevi qualcosa da dirmi?" Fa Dorian giocherellando con i cubetti nel bicchiere.
"Ti dico solo che questa è l'ultima notte dell'anno".
Dorian la fissa per un istante, incerto sulla risposta, poi butta giù un'altra sorsata: "Oh, grazie per l'informazione". Un altro tocco al cinturino ed ecco che parte un samba e il salotto si popola di ballerini dai vestiti scintillanti e piumati. Due ragazze in bikini tempestati di paillettes ancheggiano proprio davanti a Dorian che sfoggia un impeccabile smoking. Solleva lentamente la mano senza bicchiere per accomiatarsi dall'ospite e dalle ombre del malumore: "Buon anno anche a te, Lia".
La signora si volta sulle ciabatte dalle suole consumate e porta la sua espressione poco amena fuori dall'appartamento. Nel corridoio rimbombano i bassi e i cori dei sambisti, ma il chiasso dura poco. Lia estrae dalla tasca del golf una specie di orologio da taschino: tondo, piatto, color argento. Armeggia con la ghiera mobile e la musica si zittisce. Dall'interno dell'appartamento esplode il disappunto di Dorian: "Ehi! Che diamine succede! Dove sono finiti tutti?". Ma la domanda si spegne subito perché Lia da' una nuova regolata e nel corridoio torna il silenzio.

Lia rientra nel suo appartamento avvolto nella penombra creata dalle lampade a stelo negli angoli del salotto. Una sedia a dondolo è sistemata davanti alla finestra che da sul cortile. Una massiccia pila di libri opprime uno sgabello di legno tarlato e altri volumi senza titolo sono sparsi in mucchi su un gran tappeto folto, decorato con onde arricciate, fiori carnosi e navi medievali. Lia lo attraversa evitando le collisioni librarie, spegne le luci in sala ed entra in camera da letto. Fuori si sentono i primi botti che anticipano il conto alla rovescia per il nuovo anno.

Lia indossa il pigiama, toglie le pantofole e si siede sul bordo del letto. Dal taschino della vestaglia tira fuori il suo orologio speciale e lo regola di nuovo. L'eco crepitante dei fuochi d'artificio evapora di colpo. Poi è la volta delle luci degli altri appartamenti del condominio e della strada di periferia. Ma lo spegnimento si diffonde anche in centro. Le insegne luminose volanti planano nell'ombra della notte, i locali pieni di gente ammutoliscono all'improvviso, i grandi palazzi sfilano nell'oscurità che inesorabile si impadronisce dell'intera città. Nella grande macchia buia non resta che una finestra illuminata, quella della camera da letto di Lia.
L'anziana signora si infila sotto le coperte lasciandosi sfuggire una smorfia per via delle lenzuola fredde. È l'ultima notte dell'anno e malgrado i tanti pensieri vorrebbe trovare un po' di sonno, magari un briciolo di riposo con il dono di un bel sogno, perché sa che domani la attende un mondo intero da ricostruire.

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