martedì 25 agosto 2009

Grande Mazinga: prima visione


Seconda parte


Un tv color era ancora una spesa non lieve per il budget di una famiglia monoreddito e non c’erano certo finanziamenti a tasso zero o sovvenzioni per la rottamazione. Al massimo si ricorreva al classico cambialone iperannuale. E di sicuro in quegli anni se ne sono firmati parecchi a sonora smentita dei sostenitori dell’inutilità della televisione a colori. Si ricordi che negli anni ‘60, mentre negli Usa e nel resto dell’Europa occidentale le trasmissioni tivù si tingevano d’arcobaleno, i nostri soloni casalinghi criticavano l’ennesima corsa al consumismo di massa, piazzando un durevole veto di fattura moralista alla diffusione delle nuova tecnologia. Così forse le famiglie hanno evitato eccessivi indebitamenti, ma ci siamo sorbiti anni grigi nel senso più letterale. I lampi di luce della beat generation, il carosello divampante della stagione psichedelica, i patchwork falce e pastello dell’impegno politico, in Italia li vivemmo in differita... cromatica. Il colore era un privilegio per chi partecipava, per chi si tuffava negli eventi e se ne faceva protagonista. Gli altri - la massa degli spettatori - doveva accontentarsi dei prodotti che il ciclone della storia faceva approdare alle spiagge più lontane. Come la nostra ridente penisola. Nelle nostre lande la forza e le suggestioni della pop culture giunsero derivate e mediate attraverso gli echi delle copertine dei dischi e dei fumetti di Jack Kirby, delle roboanti suggestioni in technicolor di Woodstock e “2001: Odissea nello Spazio”. Una montagna di materiale che, soprattutto per noi ragazzi, era pregiato combustibile di nuove fantasticherie da imprimere su carta spremendo fino allo stremo il set dei pennarelli Carioca.
Prima del sospirato tv color, nel tinello di casa mia troneggiava un avveniristico televisore cassonato di un bianco tipo guscio d’uovo che nelle mie fantasticherie sembrava uscito dalle scenografie di Spazio 1999: aveva gli angoli smussati e pareva un monitor capace di rivelare scorci di inedite dimensioni. La sua aura misteriosa però evaporava non appena lo si accendeva scoprendo il sorriso quieto di Nicoletta Orsomandi, storica signorina “Buonasera”. Altra particolarità dell’apparecchio, in anni in cui il telecomando era un lusso fantascientifico, aveva i bottoni per la selezione dei canali in modalità soft touch: in pratica alla base dello schermo c’erano dei circolini (forse sei in tutto), bastava appoggiarci il dito e magicamente si cambiava canale, senza click, senza pigiature. Con che procedimento ciò avvenisse era fonte di scarsi interrogativi, l’attenzione degli imberbi spettatori era riservata alle meraviglie della parte superiore del media, al campo animato dove cannone catodico che ricomponeva con diligenza gli eventi che costituivano l’ordine del nuovo mondo. Una narrazione incessante, da Mille una notte, che curiosamente seguiva la scaletta dettata dalle pagine dei programmi di “Sorrisi e canzoni”.      

Nessun commento:

Posta un commento