domenica 16 ottobre 2011

In foco veritas




Io so che la verità è un fuoco, un calore primordiale che plasma la materia, ma detiene anche il potere di distruggerla. E quando noi, esseri imperfetti, osiamo avvicinarci al suo cospetto non possiamo che cedere alla vampa le nostre spoglie corrotte e svanire. Io non mi sono affacciato che un istante e il mio viso porta i segni indelebili di quell'incontro con l'assoluto.

Questa la mia testimonianza: figli del nuovo secolo, abbagliati dai lumi della Ragione cercavano con baldanza giovanile la sfida con le credenze del passato. Io e il mio amico Roger schernivamo le espressioni di culto come futile superstizione, gli appelli al sovranaturale come degenerazioni mentali. Perciò quando ci imbattemmo in quel circolo esoterico di campagna fremevamo all'idea di scardinare il loro fittizio equilibrio spirituale.
La domenica tutti alla funzione in chiesa ascoltando il parroco e ripetendo i canti sacri, la sera attorno a un tavolino zoppo, indici e pollici congiunti a cerchio evocando presenze dalle oscurità. Avevamo udito di una società segreta di gentleman che giocavano a fare i maghi, per noi una banda di bislacchi occultisti di provincia. Era nostra intenzione sbeffeggiare la loro ipocrisia, mettere in piazza nascoste assurdità e additarle come vizi di menti tarate.
Ma non era facile stanarli, i maggiorenti del paese custodivano bene le loro nequizie e il popolo teneva la bocca cucita. Tutto filava armoniosamente, eppure per quanto ostentassero le loro virtù, i nostri sospetti crescevano. Così decidemmo di entrare di nascosto nella casa dove avvenivano le pubbliche assemblee e anche quelle occulte.

Nelle stanze proibite scoprimmo facilmente un archivio: decine di cassetti, centinaia di dossier che elencavano fatti eclatanti e bizzarri. In sostanza registri di date, posti, personaggi noti, ma niente di originale. Era tutto qui? Nulla di astruso, semmai l'insolita fissazione per la compilazione di curiosità, cataloghi di cose e persone che esprimevano un'ossessione quasi infantile. Bollammo questa mania come un vano tentativo di assumere il controllo degli eventi costruendo schemi fantasiosi, fuori dalla legge della causa e dell'effetto.
Poi notai sul pavimento di legno dei piccoli fori, erano scavati con precisione come per far passare qualcosa di molto sottile. Lo sguardo andò istintivamente al soffitto: privo di lampadario, al centro si vedeva un rettangolo più scuro rispetto all'intonaco. Guardandolo bene capii che aveva anche uno spessore: era una scatola. Bastò una sedia per arrivarci e un minuto per trovare un gancetto che chiudeva il coperchio. Non c'era sicura, bastò un colpo del pollice e il coperchio si spalancò. D'improvviso un fruscio e venni avvolto da una strna membrana. Barcollai sulla sedia, ma Roger mi sostenne. Mi era caduto addosso un grosso involucro flessibile e pesante. Ci impiegammo un altro minuto a capire che si trattava di una grande tela: era ripiegata in maniera strana, forse secondo una sequenza che indicava un preciso rituale, ma a questo punto la curiosità guidava le nostre mani e dimenticammo ogni prudenza.

La tela era spessa, sembrava un tappeto sottile, aveva un lato soffice e leggermente lanoso. Nella fioca luce delle nostre torce schermate, quasi appoggiate alla superficie del tappeto, vedemmo comparire delle scritte. Parole da interpretare, scritte in caratteri sconosciuti o piuttosto travisati da quella che appariva una caligrafia sontuosa e compatta come quella di un codificatore amanuense. Non riuscii a identificare quella lingua che pure mi sembrava familiare, poi scoprii la singolarità: la scrittura era cucita dentro la fodera, stavamo leggendo alla rovescia. Mentre pensavo a come risolvere il problema senza troppi danni vidi Roger che stringeva un libro dalla copertina nera. Non l'avevo notato prima, forse era scivolato a terra quando avevamo svolto la tela.

Roger lo aprì e non ebbe il tempo di sfogliarlo: il suo sguardo si irrigidisce, le guance arrossiscono. L'istante successivo il suo corpo è attraversato da orribili sussulti. Ma tiene sempre il libro aperto, come se avesse braccia di pietra. L'incarnato è violastro e prima che io riesca a sussurare il suo nome il collo si torce di scatto. La bocca sembra spezzarsi in una smorfia, gli occhi rovesciati sono bianchi. Mentre i lineamenti del viso si gonfiano spariscono sotto lingue di fiamma invisibile faccio per avvicinarmi, voglio strappargli il libro. Ma è tardi: il volto annerito di deforma come colpito da un getto di fuoco. Bruciato dalla verità nel suo massimo splendore: l'incontro ultimo. La testa ormai carbonizzata si piega quasi appoggiandosi sulla spalla. Sulla tempia annerita crepita di qualche inverosimile scintilla.

Mi accorsi allora d'aver afferrato il libro per strapparlo dalla stretta di Roger.
La vista si appanna, il calore mi toglie il fiato. Chiudo gli occhi e lo lascio cadere. Sento la pelle che frigge sulle guance, i capelli prendono fuoco. Mi butto a terra. Svengo.

Mi chiedete cos'era quel libro? Una bibbia che parla direttamente alla carne. Un verbo di comando, una rivelazione troppo forte per una semplice creatura umana. Gli uomini non sono ammessi a tale sapere e l'autocombustione è l'unica misura di sicurezza.

E ora io so... io so che che verità è fuoco...

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