venerdì 11 maggio 2012

Il suo nome è Jimmy Olsen



Sono in ferie, ma ferie forzate. Lo si capisce dal periodo scelto, un cielo popolato da coltri di nuvole sopra una riviera umida e cementificata. Mentre parcheggio penso che potevo scegliere un posto al sole garantito, un soggiorno in Mar Rosso. Ma ci sono già stato e non fa così caldo, è un deserto che sprofonda nel mare. Può piacere giusto ai russi che conoscono la steppa.


Scendendo dall'auto, oltre il vialetto alberato sento una ragazza che chiede informazioni a un passante. Ovviamente è lo stesso albergo dove ho prenotato io. E' come se precedesse i miei penseri a voce alta. Ma personalmente non sono così sicuro della mia destinazione quindi non metto becco. Mi colpisce l'indicazione di un negozio, forse un panettiere dal nome francese. Che sia la Costa azzurra?


Nella scena successiva sono in gruppo e vengo caricato da quelli che paiono pescatori convertiti al turismo su una barchetta da una quindicina di posti con tetto di tela a protezione del sole che non c'è. Sono un po' in ansia, le solite paranoie sulla salvezza del bagaglio e le procedure del check in alberghiero. Avrò fatto? Avrò fatto tutto? Avrò fatto tutto giusto?


Non riesco a godermi l'escursione, che si traduce in una serie di spruzzi d'acqua salata e strilli di bambini che trafiggono il rombo dei motori sfiancati in una altalena di accelerazioni e corte virate. Perchè in vacanza è obbligatorio divertirsi? Il mio silenzio reclama il diritto alla quiete, forse anche alla noia.


Dopo il giro in barca compiuto come una burocratica cerimonia di iniziazione mi ritrovo tra un capannello in costume da bagno che si riscalda attorno a una macchina che getta una colonna d'aria calda. Sono padri di famiglia e pensionati, ex professionisti, ex imprenditori, la gente che in vacanza riesce a commettere delle sciocchezze senza averne l'intenzione. Nonostante tutto siamo più rilassati e cominciamo a familiarizzare. C'è anche chi comincia a fare propositi di conquista sbirciando le donne del capannello accanto.


Lasciamo la veranda per entrare in quello che dovrebbe essere lo spogliatoio, invece troviamo una sala piena di cimeli di bronzo e poster impolverati. Ma non c'è tempo di esaminarli con attenzione perchè qualcuno richiama l'attenzione su un divano old style, con imbottiture di stoffa a fiori, roba da anni '20.


Appena arrivo una mano solleva un telo di cellophane rivelando un cadavere. Sembra una mummia: una testa rinsecchita che spunta dai resti di una sorta di divisa: un postino americano degli anni '40 oppure un inserviente d'ascensore da gran hotel. Sono certo d'averla già vista in qualche film in bianco e nero ambientato negli Usa.


"Ecco perchè ci hanno fatti arrivare qui", dice qualcuno. E io aggiungo che è uno strano modo per chiedere aiuto nella soluzione di un caso d'omicidio. L'intera faccenda non ha l'aria di un gioco di società perchè mi rendo conto che le persone che mi stanno attorno hanno le competenze necessarie a cogliere indizi e svolgere indagini: medici, chimici, esperti di balistica e psicologia. Tutti si aggirano per la scena del crimine sparando osservazioni e congetture come se qualcuno dovesse prendere appunti per dipanare la trama di un giallo.


Io mi concentro sul tavolino vicino al divano, un classico tavolo a gambe corte da party, che custodisce piatti e bicchieri sporchi abbandonati lì forse per decenni. E c'è qualcosa di curioso a pochi passi dal cadavere: una scatola da pizza bianca, sulla copertura tra decorazioni liberty si legge: Costume di Jimmy Olsen. Ma sono distratto da un'altra apparizione: dietro il divano, da sotto una sedia qualcuno estrae un teschio.


Le orbite del teschio però non sono vuote ci sono due lumini, forse luci a led di un costoso gadget macabro che apre uno squarcio sui gusti della vittima. Soltanto quando finisco la considerazione quegli spazi neri cominciano a illuminarsi di una luce crepitante. In cuor mio ho già deciso: accetterò il caso.


Illustrazione di Cneut da mostra Lucca 2011

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