lunedì 19 novembre 2012
Haute couture & low profile
Dopo essere stato accoltellato poco lontano dalla Posta da un rapinatore spuntato nell'ombra, torno ad aggirarmi per la città in cerca di vendetta o di qualcuno con cui sfogarmi. E' così che mi imbatto nel mercato. La strada brulica di una folla agitata che scorre via come cubetti di ghiaccio sull'asfalto. Penso sia Milano e questa idea vaga richiama una necessità di fondo: dare un'occhiata alla mia libreria preferita. Quella che sta al pianterreno dei palazzi del corso, quello a fianco dello svincolo del cavalcavia, un cavalcavia tanto alto che in cima ci hanno piazzato un casello simile alla postazione di partenza del doppio slalom.
Ma io resto imbrigliato nel mercato che si estende per centinaia di metri e ho il sospetto che abbiano chiuso addirittura il corso principale al traffico per dare fiato alla manifestazione. Peccato che non riesca a vedere nulla della mercanzia esposta, la cortina umana di curiosi e aspiranti compratori è troppo fitta e spintonante. Tenendomi al centro della carreggiata riesco a guadagnare una certa agilità di manovra che però sembra terminare in un vicolo cieco: il tempo di esprimere il mio disappunto e sulla parete di rossi mattoni piomba un rotolo di tappeto che sprigiona scintille fino ad erompere in una serie di fuochi d'artificio.
Nessun allarme, è la festa di una boutique di moda etno chic. Le lavoranti asiatiche applaudono convinte proforma e poi fingono di mescolarsi democraticamente tra gli stilisti occidentali in una girandola di inchini ed equilibrismi con calici di Martini.
Qualcuno si accorge di me: vengo introdotto agli amabili vertici della Maison. Un profluvio di sorrisi a labbra arricciate, bagliori dentali imbarazzanti. "ma guardi che c'è anche un collega". Come se fossimo tutti una piccola tribù. Il tizio però l'ho già visto: è un filibustiere azzimato che s'intende di salotti e gossip. Mi serve la mia porzione di salamelecchi con doppio senso sul reale peso della mia professionalità. Sì, dà l'idea che al termine d'ogni frase piazzi una strizzatina d'occhio.
Gli stilisti quasi si sentono in dovere di rinfrancarmi, non vogliono che nessuno si senta voffeso. perdiana, hanno dato anche la giornata libera alle operaie. E allora mi interrogano con malcelato disinteresse, per scacciare le ombre della possibile cattiva pubblicità, per riempire tempo vuoto.
Mi allontano, o meglio mi divincolo, in cerca della libreria incolonnandomi dietro un gruppo di uomini con giubbotti sportivi - mi ricordano i venditori di cassette d'arance lungo le statali -che confabulano a voce alta dei loro affari. Ma più si sforzano di apparire disinvolti, più mi convinco che hanno qualcosa di losco, un'aura di malavita. Non vorrei pensassero che li sto seguendo, ma -guarda caso - devo esattamente fare il loro stesso percorso se voglio tagliare il corso affollato.
La massa informe si dirada, i palazzi si fano alti e vecchi, rattoppati da impalcature precarie e insegne di botteghe con caratteri stranieri. Penso vogliano infilarsi in un bar-barberia che spicca pieno di luce all'angolo di un caseggiato che pare fremere di vita propria. Invece, dopo un rapido saluto al gestore cino-marocchino che è uscito sul marciapiede a stringere mani con vistoso vigore, scartano la porta e risalgono per una stradina che si inerpica fino al corso principale.
Però la strada è sbarrata da una bisarca parcheggiata con perizia metropolitana a cavallo del marciapiede. Lo stupore sta nel carico: mezzi cingolati della seconda guerra mondale verniciati in colori pastello fluorescenti. Giallo, verde e rosa come delle allegre smarties. Sembrano usciti da un parco giochi a tema bellico, penso a voce alta e uno del gruppetto si rivolge a me: "Belli eh? Chissà quanto costano, costeranno un'occhio". Beccato, anche stavolta la libreria me la scordo.
Foto Honk Kong star by Mr Kyl
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