mercoledì 31 luglio 2013

Barcelona Universal Models si racconta Sogni in scala 1/72 (versione integrale)


C’è un anonimo catalano che sommessamente sta invadendo il mondo con i suoi eserciti. Tranquilli non c’è pericolo: stiamo parlando di armate in miniatura in plastica e resina realizzate dalla Barcellona universal models (Bum), ideata da German Domingo, un cinquantenne, ovviamente di Barcellona, che ha consacrato la sua vita al giocattolo in scala ridotta.

«La mia prima passione sono state le automobili ero un bravo modellista e ho partecipato a concorsi in Spagna e all’estero, anche in Italia» racconta Domingo. Però una volta entrato nel mondo del giocattolo in miniatura non è più riuscito a uscirne: prima come distributore e ora come produttore. La sua ditta ha compiuto 20 anni proprio nel 2013 ed è uno dei marchi che resiste e continua a stupire appassionati wargamers e collezionisti per l’originalità dei suoi prodotti. La Bum - e le sue etichette sorelle GerMan e Pobeda - infatti spazia dal Far West alle guerre Napoleoniche, dalla guerra civile russa alla Seconda guerra mondiale.

Tra le particolarità della Bum due balzano all’occhio: i set storici pronti all’uso (soldati, mezzi e componenti sceniche) e l’ispirazione a personaggi e racconti storici (L’Ultimo dei mohicani, il D Day, l’operazione Market garden, i tre moschettieri). Così dalle scatole escono le figure del cardinale Richelieu e dei moschettieri, Pietro Micca, i protagonisti delle battaglie come li abbiamo visti al cinema oppure la posa del miliziano colpito a morte fotografato da Robert Capa.

«Ogni giorno mi guardo un film di guerra – spiega – leggo libri e pubblicazioni di storia per cercare nuove combinazioni che possano trovare il favore dei clienti. Non è facile azzeccarla: le guerre tra indiani e Francesi o la polizia canadese sono andate bene, quelle tra inglesi e scozzesi molto meno».

Il mondo dei soldatini di plastica è una rete che valica frontiere e unisce continenti. Tra le collaborazioni internazionali della Bum c’è anche un’avventurosa impresa avviata in Ucraina. «Mi avevano fatto vedere dei prototipi molto interessanti e ho fatto degli ordini, ma il materiale arrivava con grande lentezza addirittura mi impedivano di andare nei laboratori perché era "segreto militare". Oggi lavoro con due o tre scultori spagnoli che mi garantiscono risultati di qualità e un confronto più rapido».

Scorrendo la vasta produzione Bum balza all’occhio quella sulla guerra civile spagnola: miliziani, franchisti, esercito repubblicano, legione Condor. Una sfilata che evoca, anche se per gioco, un dramma.


«L’accoglienza è stata buona nel mondo del modellismo spagnolo, anche perché questi soggetti non esistevano – racconta Domingo – la cosa curiosa è che ad esempio la richiesta più consistente di truppe franchiste mi è arrivata dai Paesi baschi, mentre i repubblicani sono andati a ruba a Madrid. Ma la ragione è forse più ludica che politica: ad esempio anche dagli Usa ho avuto una grande richiesta di giapponesi della Seconda guerra mondiale. Quando ho domandato il motivo a uno dei miei distributori mi ha detto: semplice ne abbiamo molti dei nostri, ma pochi avversari». Insomma la voglia di giocare è più forte delle barriere ideologiche.

lunedì 29 luglio 2013

Catalunya sogno di libertà

In mezzo a tanti proclami scritti e improvvisati, dictat gettati come specchietti e barattati con perline di vetro, oppure slogan urlati e sbandierati come la nuova verità, ecco il cammino di un popolo che non ha mai taciuto la propria identità. In secoli di lotte i catalani si sono sempre distinti per la determinata volontà di affermare uno spazio autonomo, in una parola: libertà!
Qui sotto se ne parla.

giovedì 25 luglio 2013

Forza di volontà vs forza di gravità


L'avevo vista di sfuggita alzando lo sguardo distrattamente e dopo averla focalizzato fingevo attentamente indifferenza. Era un'orrida massa rocciosa, un incubo partorito da Dalì alto centinaia di metri che sbucava dalla terra e minacciava il cielo d'azzurro quieto come una baldanzosa bestemmia. Forse, mi dicevo abbassando la testa, se non le dò peso non dovrò frequentare quella mostruosità. Invece, come se si fosse aperto un terzo occhio, iniziavo a esaminarne il profilo curvo che alla sommità annunciava una sfida ancor più alta al mio senso di vertigine: un ponte tibetano fatto di sottilissimi cavi neri. Una costruzione talmente precaria che pareva non avere sponda sulla quale poggiarsi. Restava lì, protesa in una foschia lattiginosa dovuta alla distanza. Non c'era nulla all'altro capo. O così sembrava.

Il percorso cominciava da una comunissima rampa autostradale che si assottigliava man mano l'auto - un datato fuoristrada - si inerpicava per i fianchi della montagna. Al volante c'era un militare, forse un carabiniere che sapeva il fatto suo, o almeno così dava a vedere. Nel giro di pochi istanti la pendenza iniziò a farsi sentire: 30°, poi 40°. Io, un fascio di muscoli e nervi tesi in allarme, ero a fianco del conducente che rispondeva alle futili domande di altri due passeggeri. Era chiaro che dovevamo andare a verificare lassù, ma continuavo a chiedermi come fosse possibile. Ero schiacciato contro il sedile e la grande paura si insinuava nei miei pensieri: e se adesso si spegne il motore? E se si buca una ruota? Immagina l'effetto di una pioggia di frammenti di roccia..

Io controllavo il nostro pilota: mani sul volante, tranquillo, non l'avevo visto mai cambiare la marcia, si procedeva a velocità costante macinando un fondo stradale semisterrato e il motore non sembrava sotto sforzo. La base della montagna era la parte più ripida, considerai, mentre il braccio della cima inarcato a sinistra offrirà una pendenza meno impegnativa. Certo, andava messo in conto il problema delle buche: un sobbalzo troppo esagerato e la jeep si sarebbe ribaltata con effetti devastanti. Ma no, dovevo pensare che ce l'avremmo fatta. Il carabiniere sembrava tanto sicuro.

Interno: è un piccolo rifugio di montagna, un laboratorio artigianale con spaccio di formaggi d'alpeggio, un avamposto d'osservazione. Di preciso non lo so. Anche se prevale la sensazione che sotto ci sia dell'altro. Non posso togliermi dalla testa l'immagine del ponte sospeso. Forse il progetto segreto sta nel percorrerlo con la macchina: una pazzia. I locali sono stretti e lunghi, ingombrati da lunghi tavoli con panche. Io sono seduto e osservo il viavai di quelli che paiono innocui escursionisti e scalatori di lungo corso. Sono seduto perché ho difficoltà a camminare: la pendenza si è impadronita delle mie gambe. Appena mi alzo il peso mi trascina contro la parete più vicina. Se non ci fossero ostacoli immagino che volerei giù fino a valle.

Il carabiniere e due ragazzine in camicia a scacchi si accorgono del mio immobilismo e mi incoraggiano: sù ce la puoi fare, fai come noi. In effetti a parte l'andatura un poco spedita nella direttrice nord sud non sembrano avere grossi problemi di movimento. Ma c'è un velo di pazzia in tutta l'operazione: perché costruire qui? Una parete di roccia buona per capre e stambecchi. E ora mi chiedono di opporre la forza di volontà alla forza di gravità. Folle. A che pro? Forse solo per il gusto della sfida. E' bastato questo pensiero per rimettermi, pur faticosamente, in piedi.