Mario Draghi, capo della Bce, sostiene che in Italia ci sono troppe piccole imprese. Presenze frammentate che, a suo dire, impediscono la competitività.
Matteo Renzi, presidente del consiglio, promuove la riforma delle banche popolari in spa. Anche qui si parla di efficienza.
I due, che paiono perseguire un unico disegno, mettono in ombra il fatto che il Paese deve la sua flessibilità proprio a queste realtà che sono piccole e locali, certo piene di incrostazioni poco limpide e affette da miopie varie, ma hanno costituito da sempre l'humus nel quale si sono sviluppati i grandi nomi dell'imprenditoria e della creatività che ancora oggi fanno sognare. Anche la grande industria ha beneficiato, e non poco, dei padroncini, degli ex lavoratori divenuti imprenditori di se stessi, spesso con il sostegno delle banche locali. Ora sembra che tutto ciò dia fastidio, sia vecchia chincaglieria da soffitta buona neppure per il robivecchi (che non a caso non ci sono più, abbiamo la piattaforma ecologica, che già dal nome pare una consultazione sindacale), ostacoli alla realizzazione di un futuro di efficienza ed efficacia.
Peccato che le ricadute di questo piano binario, probabilmente tracciato negli studi di qualche salotto di illuminati tecnocrati con coro di politici storditi dall'abbondante buffet, divergano dagli alti propositi. Il risultato infatti è una minore libertà d'azione per chi vuole intraprendere, per chi ha idee prima che capitali, per chi vuole vivere della propria intraprendenza e creatività. E lo abbiamo visto bene in questi anni di finanza fantasy al potere: le bolle speculative scoppiano soltanto in faccia al popolo, il capitale si sposta sulla via dove il rischio è minore, dove può perpetuare se stesso. Il capitale è nemico della novità, preferisce la piccola roulette dei mercati azionari - che per i grandi alla scommessa sulle persone reali. Resistentissimo alle riforme, il capitale si piega solamente alle rivoluzioni (armate o no) che gli offrono più opportunità di prosperare.
Togliere le radici alle banche popolari, per quanto siano familistiche che ed elitarie, e spingerle sul mercato sarà un bello choc. Certo ci saranno più controlli incrociati, le operazioni saranno (forse ma neanche troppo) meno spericolate, si avrà qualche spruzzata di trasparenza ma sopra ogni cosa verrà anche meno il legame al territorio e mancherà l'ossigeno proprio a quei piccoli imprenditori, artigiani e commercianti, che danno fastidio alla visione della nuova Italia della Bce.
Il futuro? Un Paese dove il commercio al minuto si estingue soffocato da burocrazia e dazi lasciando vuote le città, dove i bei capannoni sono sempre più silenziosi e popolati saltuariamente da lavoratori a chiamata, dove il lavoro dipendente è svuotato di tutele e le grandi aziende rispondono ai comandi di proprietà all'estero (vedi quartiere della moda a Milano e la Pirelli ai cinesi). In sostanza si torna all'Italia pre unitaria, divisa non per regni regionali e Ducati provinciali, ma per comparti produttivi e con i centri di governo spostati all'estero: Berlino, Washington, Pechino, Dubai e un po' di Mosca. E in questo scenario il capitale diviene sempre più fluido e inafferrabile, difficile da distribuire, arduo da condividere, presenza impalpabile da ossequiare e assecondare in ogni capriccio, offrendogli in tributo diritti e dignità. Il dissenso? Comporta una pena: l'esclusione dai mezzi di sostentamento. Però, come si suol dire, c'è di peggio...potrebbe piovere.
AugurItalia
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