La vita non è che un sogno, è ciò che fai. La canzone ruota come un variopinto carillon di cavalli su una giostra, persa in un incantesimo di infanzia perduta.
La luce del lampadario batte sulla lama, il riflesso offende l’occhio. Ci perdiamo una giravolta. Mancato il codino, c’era un’altro viaggio gratis in palio. Le piume sono scivolate tra le dita: quando l’occhio mette a fuoco l’oggetto e il cervello preme il grilletto l’attimo è già svanito, oltre la curva della giostra. Il sogno che si morde la coda, l’illusione che si tuffa nella vita e in un balenio di riflessi si pretende d’aver afferrato il capo giusto.
La vita sognata ha luce costante, il cielo di un’esistenza che non conosce la nuvole. E perchè mai qualcuno dovrebbe averne bisogno? Soltanto nascendo si scopre che non si è soli, che c’è qualcuno che non ci abbandona mai. Chi? La nostra ombra. Un doppio silenzioso e malleabile, oscuro forse eppure non per questo ostile. E’ un peso direbbe il solito pessimista. E’ un dono, esploderebbe il solito ottuso. E se fosse qualcosa di diverso, se fosse un marchio, un distintivo tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, ossia lo stato plasmabile del sogno.
Tutti sanno dell’esistenza dei fabbricatori di sogni, la pubblicità, il lavoro, le più intime convinzioni sono venute a patti con questi creatori dai volti non sempre identificabili. Sì perchè a volte non serve spingere lo sguardo oltre la curva della giostra, basta un’occhiata allo specchio: siamo noi. La società stessa luccica attraverso il nostro sognare e nel sogno c’è un sole invisibile che riscalda tutti quanti.
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