giovedì 26 settembre 2013

Attorno alla notte bianca


In paese i bambini ricchi fanno festa. E' come una notte bianca: animazione tutto il giorno. In centro c'è una curiosa sfida padri e figli, le coppie vestono i panni di improbabili supereroi. Incroci di personaggi Marvel e kit da Mission impossible. Anche i vecchi edifici dalle pareti sporche sono stati "truccatti": pannelli e drappi disegnati per dare un tocco d'architettura steampunk. Gruppetti di spettatori e parenti - moglie e sorelline da Mulino bianco - incitano i protagonisti delle sfide eliminatorie. Mi avvicino con prudenza a due ragazzini che stanno facendo da contrappeso agli atletici padri, o comunque ce la mettono tutta per sembrare tali.

Di solito sono personaggi sulla quarantina, capello leggermente brizzolato e on ordine, leggera abbronzatura e dentatura sbiancata. Da come parlano li immagino rappresentanti di commercio, dirigenti aziendali, insomma gente che comanda. I due superpapà si arrampicano per una parete semplice, ma per la metà del tempo penzolano dalle corde sghignazzando e motteggiando. Quando finalmente fanno presa e scivolano dentro le finestre aperte mi sintonizzo sui discorsi dei ragazzini. In particolare c'è ne sta uno con la testa grossa - da filosofo si sarebbe detto un tempo - che racconta al suo coetaneo di un appuntamento, una tradizione di famiglia. Capisco che parla di un anniversario storico che ha qualche problema ad essere rivelato: apologia di fascismo. Ma il bimbetto ne parla fiero e sfrontato con le labbra grosse che gli scoprono invereconde gengive. Sì, mentre parla sorride perché sa che c'è un aria di sfida nelle sue dichiarazioni. Non è farina del suo sacco, atteggiamenti rubati ai grandi.

Mi scosto, urtato dalle smargiassate, facendo un giro che mi porta sulla strada della scuola, mezzo ingombrata da bancarelle. Il flusso dei visitatori mi impedisce di fermarmi e osservare con pazienza, ma su un anonimo banchetto coperte da un telo di cellohpane scorgo scatole di soldatini in scala HO con vetrinetta, minuscole tabacchiere che illustrano le gesta di microrobot nagaiani anni '70 e soprattutto tanti cloni plasticati di marche note fantasiosamente rielaborate. Purtroppo la folla spintoneggia, carica di passeggini e drappelli di minorenni a braccetto di nonni malfermi, non mi dà tregua, devo spostarmi, neanche il tempo di focalizzare quelle meraviglie. L'istinto è quello di rifugiarmi in un negozio, ma non riesco a focalizzarlo e mi ritrovo dall'altra parte della circonvallazione.

Mi intrattengo con una signora - un'antica hippie spettinata - e il suo giovane compagno che hanno da poco dismesso un'attività editoriale. Lo hanno fatto a malincuore ma si mostrano sereni e pensano già ai prossimi obiettivi: una lunga, meritata, vacanza al sole. Siamo in un curioso giardino dove le alte siepi sono murate alla base e l'effetto è quello di un labirinto per bambini. I miei ospiti mi rivelano che una casa vicina è stata visitata dai ladri e mi invitano a darne notizia. Mi affaccio da una siepe per assistere a una scena curiosa: un giovane in maniche corte esce dalla cancellata di una vecchia villa dove staziona un capannello di curiosi. Brandisce un manico di scopa come fosse un fucile e ha occhi spiritati. Ma l'inclinazione della bocca tradisce una tara mentale. E' come se avesse scoperto solo adesso che qualcuno ha fatto un torto alla sua famiglia e, senza sapere come, volesse farsi giustizia. Inseguito e raggiunto prima di affrontare una circonvallazione stranamente priva di traffico, viene riportato in casa blandito da esortazioni e promesse di serenità.

Torno dai miei amici, hanno un appuntamento altrove e li accompagno salendo sulla piattaforma di una fantomatica linea del metrò che ferma direttamente nel giardino dalle siepi murate. E' un viaggio su una minicarrozza che precipita in un tunnel con un'inclinazione di 45°. Emergiamo nel cortile di una vecchia cascina appena fuori dalla cerchia delle mura. Siamo accomodati sullo scheletro di una 126 e mi spiegano che hanno voluto vendere la macchina: non servono auto dove stanno andando.

Foto by Kyl

martedì 17 settembre 2013

Parking nightmare


Fine turno, si esce dall'ufficio. Ma prima mi cade l'occhio su una cartina stradale spiegata su un tavolo e scopro che il paese di Cene è una deliziosa località nel verde circondata da laghetti. Ecco perchè me la decantavano tutti! E noto che poco più sotto c'è Lambrate: è il paese che prende nome dalla stazione? Se è così è molto vicina e comoda per raggiungere Milano. In sovrappiù, quasi a metà del percorso spicca un abitato che si chiama Rai: forse un villaggio televisivo? Decido di fare un'esplorazione.

Come al solito mi ritrovo a piedi in una zona desolata di capannoni, prati spelacchiati con ciuffi d'erbaccia gialla circondati da nodi di superstrade. Sento che ho sbagliato obiettivo devo rimettermi in viaggio. Me lo conferma un collega di passaggio spiegando che la via per Lambrate è un percorso ad alto traffico non certo questa periferia sgangherata. Prima di ritrovare l'auto mi avvicino a una serie di palazzi anni '70 confinanti con vecchi capannoni industriali. E' una zona semideserta dove l'unico segno di vita sono i parcheggi.

All'improvviso la luce cambia. Il cielo sopra di me è notturno: vedo le costellazioni basse poco sopra l'orizzonte frastagliato dalle sommità dei condomini. Un tizio che cammina con difficoltà diretto verso uno scooter cambia direzione e mi prende di mira biascicando qualche parola incomprensibile. Non è la solita scena dello zombi, ha più l'aria di un disabile mentale che vuole lanciarsi in qualche gioco manesco. Infatti mi si butta addosso e con qualche difficoltà lo scanso. Mi insegue, ma è lento.

Altri due figuri arrivano da una via laterale. Hanno l'aria di essere intontiti e posseduti: sospetto che ci sia di mezzo lo strano fenomeno celeste. Ormai mi hanno circondato e non trovo altra soluzione che rovesciargli addosso una serie di improperi. La cosa ha effetto, si scuotono, si svegliano. Subito gli faccio presente che dobbiamo reagire, organizzarci. Una grossa macchina nera con finestrini oscurati sfreccia a tutta velocità sulla via e quasi ci investe. Quando la nuvola di polvere s'abbassa una schiera di figure si fa avanti: maglietta celeste e pantaloni stretti con la piega, capello impomatato e sguardo perso. Un'intera squadra di bowling ci viene addosso. Insieme agli altri li spintoniamo via gridandogli in faccia: è l'antidoto per riscuoterli.

Intanto il sole sorge. Ma è il sole? Una macchia di luce che si allarga al centro del cielo. Il buio stellare viene schiacciato, inghiottito dall'orizzonte. L'incubo svanisce, posso tornare al parcheggio a cercare l'auto.

mercoledì 4 settembre 2013

Lo strano addio a Max Cipollino

In genere evito nomi di persone che capitano dentro il sogno, ma stavolta sono personaggi pubblici e la storia non può farne a meno.


E' morto Massimo Boldi, il terribile Max Cipollino che aveva conquistato le platee televisive e cinematografiche con la sua verve demenziale. E' stato un incidente: un assurda disgrazia sul set di uno spot. Lo vedo mentre dietro le telecamere viene spinto in una buca da alcune comparse che si affrettano a sotterrarlo spingendo una massa di terriccio con la pala di una ruspa gialla. Lui lancia sguardi smarriti e perplessi nella tradizione di Laurel & Hardy. Quando però il ciak è "buono" ed è il momento di tirarlo fuori si scopre che i sostegni non hanno retto alla massa di terra: Boldi è stato sepolto vivo. Pochi minuti senza ossigeno ed è morto soffocato. Il cordoglio formale dei media serpeggia per il Paese.

Io, forse perché ho assistito alla fatale disgrazia, mi reco da uno dei suoi amici più potenti. Silvio B. Sì, proprio l'ex premier che in quanto proprietario di emittenti televisive e casa di produzione cinematografica era stato uno dei fautori del successo di Boldi. In particolare l'aveva aiutato quando era scoppiata una bega milionaria per una violazione contrattuale. B. l'aveva comprensivamente sostenuto trattenendo i suoi famelici legali.

Ora però è un giorno di lutto, anzi una serata improntata al cordoglio. Ebbene la villa di B. è aperta e quasi mi stupisco della facilità con cui sfilo davanti al servizio d'ordine: men in black con dolcevita nero e occhiali scuri intenti ad ascoltare la partita via auricolare. Non ci sono rischi reali per la sicurezza, tutti siamo qui per ricordare Massimo. Noto che l'afflusso è caratterizzato da persone d'una certa età, identificabili con pensionati, insomma quasi coetanei di B. Non è certo tempo per feste con modelle e veline.

Dentro un salone imbandito come la mensa di un albergo tutti trovano posto . Mi aspettavo discorsi e commemorazioni, invece si mangia. Ma scopro che è così tutte le sere: i graditi ospiti sono degli habitué della villa e B. sembra aver cambiato stile di vita. Lo vedo infatti seduto in posizione centrale, neanche capotavola, tra una coppia di signori abbronzati dal sole di Cesenatico. Indossa il maglione blu da riposo ed è stranamente taciturno, parco di sorrisi. Per lo più ascolta con sguardo di finto interesse i discorsi dei commensali. Si percepisce un velo di tristezza per l'amico perduto che gli ospiti faticano a comprendere.

Cominciano a servire in tavola e i commenti si sprecano in una sinfonia assordante di piatti urtati dalle posate e bicchieri che si toccano in rapidi brindisi. B. appare sempre più rabbuiato e stanco di rispondere, ma si va avanti tra complimenti sperticati e tentativi di articolare discorsi che siano graditi al padrone di casa.

Ecco che all'improvviso irrompe un trio di tarchiati musicanti: capelli rasati sul cranio massiccio, vestiti blu fluo, camicie nere a righe senza cravatta. Due colossi armati di chitarra e fisarmonica accompagnano un ometto dinamico che si propone all'attenzione della platea con brevi frasi pronunciate con marcato accento russo: buonaserra signore e signori e un caldo abraccio al cavaliere B. che ci ospita in cuesta magniffica seratta.

Il prologo strimpellante sta per sfociare in una canzone del repertorio partenopeo accompagnata dal battimani dei commensali ormai dimentichi del lutto e pronti alla facezia, ma B. non ce la fa. Scuote la testa, dice "No, no, no", si scusa e si alza. La festa è finita. Precipitosamente gli uomini in nero fanno uscire la gente tra la prima e la seconda portata. Alcuni non hanno neppure visto l'antipasto e accennano una protesta ma vengono cortesemente spinti fino al cancello della villa. Lungo il vialetto cosparso di ghiaia qualcuno maledice i guitti russi e dà la colpa dell'infelice trovata addirittura a Putin. Una signora bene informata invece sostiene che era proprio Boldi a cantare durante le cene e cercare di sostituirsi al comico mentre il suo ricordo era ancora vivo è stato un gesto brutale.

La festa è rovinata, tutti se ne vanno a casa. A sorpresa scopro d'essere venuto in bici. Una graziella dalle gomme bianche e lisce che impone frenate calcolate. La signora bene informata, una professoressa in pensione aggregata alla corte degli adulatori di B. per motivi "alimentari", mi indica la via lungo uno sterrato campestre costellato da giganteschi blocchi di roccia bianca.


ps Ovviamente lunga vita a Massimo Boldi