Hai fatto il possibile per stare sopra le righe, ti sei mostrato impassibile agli sgarbi quotidiani e accondiscendente ai soliti ammiccamenti inutili per creare un surrogato di armonia artificiale. E mancava davvero poco al traguardo di fine turno, con la prospettiva ormai vicina di un breve periodo di vacanza. Eppure...ebbene...no.
Con puntualità da reazione chimica, come se il mio sollievo innescasse un ribaltamento degli equilibri generali, ecco che arrivano le cattive vibrazioni: la prima a tradirti è la tecnologia. Ormai ben più di una stampella, già oltre l'interfaccia, per il lavoratore è una protesi. Quando si blocca, sei come un robocop senza corrente, un catorcio in attesa di demolizione. Sbottare, smaniare, stridere i denti. Poi c'è la sorpresa, il kinder ripieno di putridume che devi ripulire mentre attorno ballano il valzer del "c'è anche questo da fare, come lo faccio, dammi una mano, ti saluto che è tardi". Finte deleghe, minacce sottintese, lasciamoci con rancore acceso. Infine, a traguardo già in vista, il richiamo dall'alto della rupe: così non va, riaggiusta, sistema, ricalibra. E sono sorsate di bile efferverscente. Quella amara in un modo pazzesco che non si cancella sputando in terra andando a casa. No, il saporaccio si trasferisce dalle papille gustative al cervello e se ne sta lì come su un dondolo demente formato da due sinapsi cigolanti che ti accompagnano nell'insonnia e prefigurano il solito fine settimana sfiancato, dove la mappa di ogni brillante progetto è stata già insudiciata dagli scarponi chiodati dell'ego altrui.
Penso a questo tornando a casa. E ci penserò per quel che resta della notte.
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