lunedì 23 agosto 2010

Sogno extra




Quando torno sfinito nel salotto di casa, la casa dei miei, c'è mio padre. "Ieri sera abbiamo guardato questo". E' un dvd con copertina amatoriale e colori confusi, intuisco una sagoma in mezzo alle vampate di fuoco di un'esplosione. "Un film alla James Bond, ma girato in dialetto piemontese". Non me lo faccio dire due volte, il disco gira già nel lettore. Però guardo gli extra, sezione effetti speciali. Una mini teleferica scorre sopra un bacino d'acqua, i cavi vengono tranciati da un'esplosione e precipita: l'eroe ovviamente non affoga nella prematura bara ma riemerge e... stacco, vede avvicinarsi l'inequivocabile pinna di squalo. I tecnici spiegano i trucchi: il volo è stato di pochi metri. Il problema più grosso era mantenere la cabina in equilibrio. Se si rovesciava per lo stuntman sarebbe stato difficile uscire. Per questo i cavi non vengono tagliati, ma semplicemente si allentano di botto immergendo la struttura in acqua.
Ci sono poi le incognite della corrente, visto che il bacino non deve dare l'idea di una grande vasca e grosse pompe provvedono a creare l'effetto ribollimento. Lo stuntman è ripreso dall'interno: in un attimo l'acqua sprizzava ovunque. Lui sgancia le cinghie e armeggia con la porta mentre un sub lo riprende dall'esterno. Un tecnico, avvisato dall'ingegnere degli effetti con cronometro alla mano, fa scattare infine il dispositivo d'apertura delle porte. "Ci vuole un bel coraggio per fare una cosa del genere". Ancora di più a farla in piemontese.

sabato 21 agosto 2010

la riunione.4

Alla nuca sento il formicolio del pericolo: mi accorgo che siamo accompagnati nel nostro galoppo attraverso l'accampamento. C'è un ragazzo di carnagione olivastra in jeans e maglietta scura che comincia a fiancheggiare la dottoressa. Ha un fare poco rassicurante. "Levati di mezzo" sibilo. Ma quello non mi sente. Decido di attendere un luogo meno affollato. Usciamo allo scoperto tra l'erba e i calcinacci. Il giovane spintona la dottoressa in un androne di cemento: un vecchio ingresso ai garage interrati invaso da un impasto di tegole sbriciolate. Lei vorrebbe gridare ma si ritrova senza fiato.
Anch'io sono un po' provato ma prendo lo slancio per rifilargli un paio di calci che lo sbattono a terra. Rapido come un fulmine entra in scena un altro uomo. Sono stato stupido: era una tattica. Il tipo in shorts e canottiera ha un fisico asciutto e muscoloso, pare un corridore. Forse per quello non l'ho sentito arrivare. Ghigna e mastica parole con fare beffardo. Io mi metto in posizione di guardia e lui provoca. Vuole agganciarmi con le sue zampe lunghe, ma mi tengo a distanza e sferro colpi ben precisi: gancio al fianco, finta, finta, dritto sul naso.
Fatto male? Ride ancora, ma stavolta alza la guardia. Finta per lo stomaco e dritto in faccia. E' un po' lento a ripararsi e allora raddoppio cercando di raccolgiere le ultime forze. Poi un altro destro al fianco che lo sbilancia. E' cotto, perde l'equilibrio e casca a gambe all'aria. La pendenza me lo fa rotolare contro. In faccia mi ritrovo i suoi polpacci pelosi stretti nelle calze bianche sportive che mi fanno ricordare un tacchino pronto per il forno. Un'immagine che apre la breccia di altri ricordi: ritrovo così nella figura di quel podista sfigato un vecchio amico. Ed ecco la verità dissepolta: anche io ero uno del branco prima d'essere reclutato.
Ha senso continuare la missione?

la riunione.3

Ma io non mi arrendo, voglio recuperare il materiale a costo di rifare tutto il percorso. La dottoressa in carriera pare della stessa opinione e si lancia di corsa in mezzo ai caseggiati. Per ritornare al punto di sviluppo del progetto più rapidamente è la via migliore, certo non la più sicura. Scopriamo che gli edifici non sono abbandonati: decine di uomini, senzatetto, clandestini, sbandati di varia natura ne hanno fatto il loro rifugio. Passiamo correndo tra bivacchi, guardaroba ammucchiati in sacchetti di plastica e giacigli improvvisati tra pilastri impiastrati di graffitti. C'è chi stende panni, chi sta attorno al fuoco ascoltando la radio. Qualcuno si gode il lusso di un televisore in bianco e nero. Aleggiano melodie radiofoniche mediorientali tra vapori di couscous indefinibili. Ancora un paio di blocchi e ci siamo.

la riunone.2

All'improvviso mi accorgo che sull'altro lato della riva erbosa ci sono due uomini in smoking. Discutono amabilmente in una lingua straniera, hanno un accento del Baltico. Qualcosa mi fa pensare a un paio di diplomatici che indugiano in giardino dopo un ricevimento particolarmente noioso, ma sento che la loro presenza nei pressi del nostro percorso non è così casuale. A un certo punto uno, il più anziano, indica un punto nell'acqua e piega le ginocchia per vedere meglio. Sono sorpreso quando rivolge con una serie di vezzeggiativi a un grosso pesce nero marmorizzato che si muove sinuoso a pelo d'acqua. Le pinne laterali sono ampie come palme, davvero sembrano prototipi di mani. Questa visione mi riscuote, facendomi ricordare il mio compito. Ma è troppo tardi: la linea si è spezzata. I "colleghi" si sono sparpagliati per guardare quel cavolo di pesce. La concentrazione è svanita e con essa tutti i dati "trasportati" dalla colonna.

la riunione

Una sessione di studio, una lunga tavolata con progettisti, ingegneri e manager. Giovani esperti dinamici e preparati. Arrivo io, un po' intimidito e malfermo nelle mie competenze: chiedo subito perchè una riunone in mezzo a una serie di edifici vuoti e abbandonati. Perchè è qui che verrà sviluppato il progetto, risponde sorridente la team leader in tailleur e scignon dirigenziale. Come se fosse normale accumulare dati e carte in mezzo all'erba alta e i calcinacci, circondati dagli scheletri in cemento di palazzi popolari mai completati. Inizia lo show di architetti e designer con mappali e slide rotanti: le idee fioccano, le sovrapposizioni si sprecano in una gara di acume e originalità. Il mio disagio aumenta: quando dovrò intervenire?
Noto però che la donna si apparta per una telefonata al cellulare: sul suo volto si legge la preoccupazione. L'agitazione cresce con sguardi e passaparola. "Dobbiamo andarcene, subito". Intuisco problemi di sicurezza, ma non c'è tempo per spiegazioni. E il materiale? Possiamo creare una "linea" - una suggestione ipnotica di bassa intensità in grado di conservare il momento ispirativo - e trasferirlo. Certo, ma chi guida? Non so perchè ma la scelta cade sul sottoscritto, forse sono un conoscitore della zona ed è per queste informazioni che faccio parte dei convitati. Il trasferimento in "linea" però non ha nulla a che fare con internet: si tratta di una fila indiana di persone lungo un percorso di ringhiere, staccionate e corrimano tra ombre fiochi bagliori di una giornata che volge all'imbrunire.
E' come una seduta spiritica, ma in movimento. Io apro il cammino con grande sicurezza, tutto fila liscio finchè non ci tocca costeggiare un canale d'acqua torbida: con le mani, a palmi rivolti verso il basso, sfioro la sommità in pietra del parapetto. Così si mantiene la "linea".