domenica 25 novembre 2012

Lo Zen e l'arte di afferrare le frecce al volo



All'inizio sembra India, poi gli elementi buddisti aumentano e potrebbe essere Thailandia o Birmania - acc.. Myanmar - oppure è tutta una gigantesca rappresentazione all'interno di un padiglione fieristico barcellonese. C'è tutto il calore della bella stagione ispanica, quella che beneficia della rinfrancante brezza marina, e il sole viene filtrato da nubi fini così non capisci se è s'avvicina la sera oppure è una giornata imbronciata.

Avevo pianificato una gita, un'escursione guardando una mappa che parte dalla Malesia e attraverso un arcipelago Sudamericano inesistente porta ai promontori dell'Alaska, con la differenza che la dorsale delle terre emerse non abbraccia il circolo artico ma si protende verso regioni più temperate. Il tutto, da programma, richiederebbe 15 al massimo venti giorni, ma chi c'è l'ha tutto quel tempo. Un'altra volta, mi dico. E poi adesso c'è lo spettacolo.

Solenni colpi di tamburo annunciano l'inizio della rappresentazione. Siamo in un anfiteatro costituito soltanto da quattro alti pilastri e delimitato da lunghi vessilli bianchi ricamati. Pezze di stoffa nera quadrate costituiscono i posti a sedere, o meglio per inginocchiarsi ad imitazione dei protagonisti sul palco: sono una decina di personaggi in costumi d'epoca, arcieri e musici. Somigliano ad antichi nobili giapponesi con neri copricapi e larghe vesti di seta a motivi floreali.

Il miagolio dei "violini" - i shamisen - viene interrotto da secchi colpi di legno che scandiscono le azioni degli arcieri disposti ai lati della scena. Lunghe frecce piroettano lente in cielo per poi conficcarsi in bersagli circolari di carta che sono disposti a terra, soltanto a pochi metri dai piedi dei suonatori. A dir la verità vedo poco, tra le lingue delle bandiere e le teste di chi mi precede, dovrei alzarmi in piedi ma mi accontento di intuire l'azione tenendo a bada la frenesia occidentale del vedere per sapere.

Il nuovo esercizio consiste nel lancio di una serie di frecce pesanti seguito da altre frecce corte e più rapide che le urtano cambiandone la traiettoria e riportandole a terra in punti prefissati. O almeno si spera. Io osservo gli archi lunghi tendersi senza apparente sforzo poi lo scatto che indica il lancio del proiettile: le prede arrivano al culmine della loro corsa ed ecco che sono raggiunte dai cacciatori, i legni si incrociano nei punti prefissati e iniziano la caduta piombando a picco nell'area attorno al palco basso.

Ma qualcosa non va. Ci sono frecce che precipitano nell'area destinata al pubblico. Sembra una mossa studiata visto che le prime si infilano a pochi centimetri dagli spettatori nelle prime file. Però quando ne vedo tre che si urtano a pochi metri dalla mia testa in automatico allungo il braccio: è come se il tempo rallentasse mentre la mia mano s'avvicina alla freccia nella sua traiettoria assassina. Infatti l'agguanto senza difficoltà. Attorno a me, forse consapevole del rischio corso, forse per smitizzare la precisione degli arcieri, c'è chi grida "Bravo!" disturbando non poco l'atmosfera incantata dello spettacolo. Ma forse sbaglio, forse anch'io sono parte dello spettacolo.

foto Arrow of light over my head by mr Kyl

martedì 20 novembre 2012

Amarcade story: Konami





La società Konami, che oggi è nota globalmente per la serie di Metal gear, è nata nel 1969 a Osaka. Un inizio comune a molti nel ramo del noleggio dei jukebox e delle riparazioni di distributori automatici è fiorito come i tradizionali ciliegi giapponesi fino a comporre uno straordinario bouquet di attività che spaziano dall’animazione alle carte da gioco, dai telefilm di eroi mascherati alle slot machine.
Una duttilità negli interessi che rispecchia la composizione societaria, infatti la Konami (parola che in giapponese significa “piccola onda”) è la sigla formata dalle iniziali dei cognomi dei quattro fondatori Kozuki, Nakama, Matsuda, Ishihara. Proprio come nei Fantastici quattro occorre un cervello che sappia pilotare il gruppo anche alla Konami c’è un Mr Fantastic: questo era Kozuki che nel 1973 decide di cavalcare l’onda delle arcades. Per cogliere il successo serviranno anni di duro lavoro, ma il 1981 è il tempo del raccolto con titoli come Frogger, Scramble, Time Pilot, Gyruss e Super Cobra.
Nello stesso periodo la società intuisce il futuro sviluppo dell’intrattenimento elettronico e si lancia nella produzione di software ludico per l’effervescente mercato degli home computer e delle console. Un doppio binario - quello casalingo e quello arcadico - che ha permesso alla Konami di superare gli scogli più ardui fino a sbarcare negli Stati Uniti. Ricordiamo che sotto le sue insegne sono stati prodotti videogiochi tratti da I Simpson, G. I. Joe, Batman, The Goonies e Silent Hill.
Una prosperità che alla fine degli anni ‘90 ha accusato una battuta d’arresto con la chiusura della sezione arcade statunitense. Da menzionare comunque il patto siglato nel 2003 con la storica casa cinematografica Toho per la creazione di serie tv di tokusatsu (supereroi mascherati, stile Power rangers per intendersi).
Konami resta oggi uno dei big nell’industria dei videogame e, a quanto pare, anche nella produzione cinematografica visto che sta lavorando per portare sul grande schermo i suoi successi Castelvania e Metal gear.

Foto I tuoi occhi sono fari brillanti by Mr Kyl

lunedì 19 novembre 2012

Haute couture & low profile





Dopo essere stato accoltellato poco lontano dalla Posta da un rapinatore spuntato nell'ombra, torno ad aggirarmi per la città in cerca di vendetta o di qualcuno con cui sfogarmi. E' così che mi imbatto nel mercato. La strada brulica di una folla agitata che scorre via come cubetti di ghiaccio sull'asfalto. Penso sia Milano e questa idea vaga richiama una necessità di fondo: dare un'occhiata alla mia libreria preferita. Quella che sta al pianterreno dei palazzi del corso, quello a fianco dello svincolo del cavalcavia, un cavalcavia tanto alto che in cima ci hanno piazzato un casello simile alla postazione di partenza del doppio slalom.
Ma io resto imbrigliato nel mercato che si estende per centinaia di metri e ho il sospetto che abbiano chiuso addirittura il corso principale al traffico per dare fiato alla manifestazione. Peccato che non riesca a vedere nulla della mercanzia esposta, la cortina umana di curiosi e aspiranti compratori è troppo fitta e spintonante. Tenendomi al centro della carreggiata riesco a guadagnare una certa agilità di manovra che però sembra terminare in un vicolo cieco: il tempo di esprimere il mio disappunto e sulla parete di rossi mattoni piomba un rotolo di tappeto che sprigiona scintille fino ad erompere in una serie di fuochi d'artificio.
Nessun allarme, è la festa di una boutique di moda etno chic. Le lavoranti asiatiche applaudono convinte proforma e poi fingono di mescolarsi democraticamente tra gli stilisti occidentali in una girandola di inchini ed equilibrismi con calici di Martini.
Qualcuno si accorge di me: vengo introdotto agli amabili vertici della Maison. Un profluvio di sorrisi a labbra arricciate, bagliori dentali imbarazzanti. "ma guardi che c'è anche un collega". Come se fossimo tutti una piccola tribù. Il tizio però l'ho già visto: è un filibustiere azzimato che s'intende di salotti e gossip. Mi serve la mia porzione di salamelecchi con doppio senso sul reale peso della mia professionalità. Sì, dà l'idea che al termine d'ogni frase piazzi una strizzatina d'occhio.
Gli stilisti quasi si sentono in dovere di rinfrancarmi, non vogliono che nessuno si senta voffeso. perdiana, hanno dato anche la giornata libera alle operaie. E allora mi interrogano con malcelato disinteresse, per scacciare le ombre della possibile cattiva pubblicità, per riempire tempo vuoto.

Mi allontano, o meglio mi divincolo, in cerca della libreria incolonnandomi dietro un gruppo di uomini con giubbotti sportivi - mi ricordano i venditori di cassette d'arance lungo le statali -che confabulano a voce alta dei loro affari. Ma più si sforzano di apparire disinvolti, più mi convinco che hanno qualcosa di losco, un'aura di malavita. Non vorrei pensassero che li sto seguendo, ma -guarda caso - devo esattamente fare il loro stesso percorso se voglio tagliare il corso affollato.
La massa informe si dirada, i palazzi si fano alti e vecchi, rattoppati da impalcature precarie e insegne di botteghe con caratteri stranieri. Penso vogliano infilarsi in un bar-barberia che spicca pieno di luce all'angolo di un caseggiato che pare fremere di vita propria. Invece, dopo un rapido saluto al gestore cino-marocchino che è uscito sul marciapiede a stringere mani con vistoso vigore, scartano la porta e risalgono per una stradina che si inerpica fino al corso principale.
Però la strada è sbarrata da una bisarca parcheggiata con perizia metropolitana a cavallo del marciapiede. Lo stupore sta nel carico: mezzi cingolati della seconda guerra mondale verniciati in colori pastello fluorescenti. Giallo, verde e rosa come delle allegre smarties. Sembrano usciti da un parco giochi a tema bellico, penso a voce alta e uno del gruppetto si rivolge a me: "Belli eh? Chissà quanto costano, costeranno un'occhio". Beccato, anche stavolta la libreria me la scordo.

Foto Honk Kong star by Mr Kyl

domenica 11 novembre 2012

Doppio spettacolo






Ritorno sui luoghi delle vacanze estive: le montagne della mia giovinezza. E trovo tutto così "sviluppato": più attività, più negozi che botteghe, più giovani modaioli e auto di grossa cilindrata che sfrecciano dirette chissà dove. Io vengo dalla piana dell'afa e dell'umido per un revival dei cine oratoriali, un ghiotto doppio spettacolo.
Sono nell'atrio che ha l'aspetto di sempre - nel senso che ci capito spesso in questa regione del sogno - ed è una sorta di corridoio sotterraneo ben illuminato. Appena dopo l'entrata si scendono tre gradini e a destra c'è la biglietteria, il classico bancone di legno arcuato con vetrata protettiva. Dall'altra parte - mai capito il motivo - c'è un buio ingresso, ma niente paura è una piccola sala giochi. Gli arcade si illuminano e gorgogliano a intermittenza richiamando clientela.

Nel primo film scampoli di isole tropicali in miniatura e pupazzi di dinosauri giganti che strillano incazzati. Un invito al sonno sulle pur scomode poltroncine di legno. Così mi ritrovo a spasso per i prati collinosi: ci sono ragazzine e papà che pascolano con cagnoni senza guinzaglio e a fiuto libero. C'è un'atmosfera di lassitudine da domenica mattina. Ma non per me, devo tornare alla macchina: dove diamine sarà? E poi che auto sarà?

Il secondo film è ancora più noioso: sperimentazione tra il cartone animato e il tokusatsu. Lo svolgersi dell'azione è lento, la regia si sofferma sui contorcimenti dei protagonisti in combattimento e il racconto perde mordente. Rammento dei marinai sottoposti a un esperimento crudele o incappati in una maledizione dei mari del Sud: i loro corpi fluttuano avvolti in panni da ciurma corsara mentre vengono bombardati da flash colorati. Il bello è che sembrano stare sott'acqua, una scena fantasmatica.

Foto Getter fight by Kyl

mercoledì 7 novembre 2012

Amarcade story: Namco




Ci credereste? In Giappone la corsa per il successo nelle praterie degli arcade inizia in sella a un cavallo a dondolo meccanico nei grandi magazzini a Yokohama. E’ la corsa della Namco (poi Namco Bandai Games) fondata da Masaya Nakamura per far trottare i pargoli mentre mamma e papà facevano le compere.

L’impero del videogioco poggia le sue basi su queste prime pile di monetine. Basi solide visto che il tuffo di Namco nell’intrattenimento elettronico giunge nel tardo 1974 con l’acquisizione della divisione giapponese di Atari. I primi titoli autoprodotti arrivano nel 1978, ma è nel 1980 che viene posata la pietra miliare degli arcade: Pac Man.

Namco diventa un colosso mondiale che flirta con il settore delle consolle casalinghe ma non abbandona i prodotti “on the road”, anzi sforna nuovi arcade superando la crisi della metà degli anni ‘80. In particolare firma arcade per multigiocatori, simulatori di guida (in accordo con Mazda e Mitsubishi) e rafforza la sua posizione nei luna park e sale giochi istituendone di nuovi, a Osaka e Tokyo.

Negli anni ‘90 Namco si proietta sui giochi 3d (che diventano la nuova frontiera dell’intrattenimento virtuale) e produce il picchiaduro Tekken che farà scuola. La crescita di Namco prosegue imperterrita in questi ultimi anni spostandosi nel cinema e nella redditizia dimensione dei telefoni cellulari.
Da rimarcare poi il matrimonio con Bandai, che oltre a una dote di videogame porta un ricco e rinomato catalogo di giocattoli. Basterebbe citare la parola Gundam per aprire la porta di un universo parallelo fatto di meraviglie del modellismo. Ma, come si dice, questa è un’altra storia.

foto: The turning point by mr Kyl

martedì 6 novembre 2012

Pac Man: lo spuntino di corsa



Un desiderio corre nel labirinto dalle pareti di neon.

Lo dirige una passione febbrile fuori dal suo mondo. Rapidi colpi di mano lo aiutano a sbrogliare la matassa delle piste invisibili.

Scansare la collisione, ripulire la strada, cogliere i bonus. Passare all'attacco, fintare l'affondo, tagliare le vie di fuga.

Gli avversari si fanno in quattro per stringerlo negli angoli e porre fine al cieco appetito del giallo masticatore.

Ma i guardiani senza sorriso con i loro occhi immortali non sanno vedere l'ironia dell'eterna sfida. Il mondo quadrilatero che abitano esiste in funzione della reciproca minaccia, un equilibrio alterno che chiede il tributo dell'ennesima moneta.


foto: The yellow obsession by mr Kyl

lunedì 5 novembre 2012

Per i sogni degli altri




Quattro giorni vissuti nei sogni (e negli incubi) degli altri.
Grazie LuccaComics 2012!

Foto: un Pinocchio volante di Massimiliano Frezzato