sabato 30 maggio 2015

Expo na cifra


Grazie ad una soffiata di Julienne Assange, la chef sovversiva che è stata alla ribalta per aver rivelato il progetto della salsa tonnata Mc Donald, siamo in grado di offrirvi in anteprima i primi dati sulle presenze Expo. Anticipiamo così le dichiarazioni del premier Ratteo Menzi che il 2 giumbolo (nuovo calendario performante) sarà di nuovo a calcare le suole sulle spanate dell’esposizione universale meneghina. 

E’ noto che in tale occasione – coincidente con la festa della Repubblica fondata sul lavoro liquido e i diritti curvilinei – il premier lancerà il suo: ULTIMATUM DAL PIANETA EXPO!

Ma prima del messaggio a reti ammortizzate ecco la cifra totale che, alla faccia dei gufi e dei gatti di vicolo miracoli, ammonta alla bellicosa cifra DUE MILIONI di visitatori (tacco più barba meno).

 

E le presenze sono così suddivise:

Uomini, donne e gender vari: un milione e 700mila

Di cui:

Orda d’oro con omega 3

Valanghe azzurre con due ori e un bronzo

Ordine della giarrettiera slacciata

Ordine dei cataplasmi all’eucalipto

Sultanini del Brunei

Portatori di pizzo

Dopo lavoro del Sichuan

Alfani-Centauriani (due Ufi con aria condizionata)

Rom: 4 k

Ram: 4 giga

Gitani: 2

Gitanes: 16 pacchetti

Zanzare tigre: 10.738

Tigri della Malesia: 1

Formiche: 200 mila

Portaformiche: 32

Millepiedi: 47

Passeriformi e gazze varie: 17.543

 

Presenze immateriali:

Poltergeist: 4

Spirito con la scure: 1

Fantasmi dell’opera: 2

 

Presenze ipotetiche

Civiltà neutriniche: 3.07 * 21,76°

Uomini e donne invisibili: 3

Gatti invisibili: 4

Soviet dei batteri: 1

Satrapi viaggianti: 5

Reincarnazioni del Budda: :=)

 

 

Impresentabili: 13

 

domenica 24 maggio 2015

Narcosostenibilita'


Sono appena uscito dal padiglione Narcos a Expo 2015. Bella gente, belle novità e tanti miti da sfatare, tante fate da sniffare. Vi do una breve infarinatura. All’ingresso, accolti da un cordiale “bienvenidos, hijos de puta” proferito dalla statua a grandezza innaturale di Pablo Escobar, si viene introdotti in un ambiente di varia urbanità col sottotitolo: spaccati di vita, spacciati a vita e vite spacciate. 

Accompagnati da un’ineffabile orchestrina di opulenti e ululanti mariachi da punta si parte subito alla grande con la stuzzichevole pensata dei selfie con le teste mozzate del cartello di Tijuana, che fa tanto biennale di Caracas ma ci sta. Per acclimatarsi al percorso espositivo si viene investiti da getti d’aria torrida tropicale dalle polveri non troppo sottili sotto luci strappate da una città che non dorme mai. Tanta cura nei dettagli, dai machete chiazzati sangue che indicano la via, alle sagome dei cadaveri che rivelano le postazioni migliori per godersi le installazioni, ovunque è un penzolare di nastri "no trespassing", "police confidential", "perro maldito" come liane per un Tarzan in calo di dopa. 

La mostra fotografica in 3D sui cocaleros è d’impatto, soprattutto per il connesso odorama: sapidi fumi di benzina, l’effluvio putrefatto del sottobosco amazzonico mischiato allo chanel privè dei pestadores, che macinano chilometri sudando sulla pasta di coca come fosse un tapis roulant. Più in là ci si può infilare in un mini sottomarino, autoprodotto in plastica di pedalò romagnolo rimodellata, per buggerare la rete radar statunitense e consegnare carichi di "biancaneve" degni di Ataualpa o forse qualche altro dio, destinati alle narici degli arrotolatori di biglietti da cento dolares. 

Non poteva mancare un omaggio all'immaginario più hollywoodiano del traffico immacolato nella persona di Al Pacino/Scarface presa nello sfavillio delle stroboscopiche e del bagnasciuga della disco anni '70 e proiettata sul soffitto in formato 16:9. Anche la cultura narcotica strizza l'occhio al japan pop ed ecco che la tecnica dei murales di Rivera si fonde con le onde di Hokusai per dare vita alla leggenda di Calì e Medellin, due gemelli che cercano di domare il serpente della polvere bianca che divora l'Occidente. Le copertine shock di Alarma! - ricche di perforazioni craniali ed eccessi stupefacenti - ci conducono nel calderone del far west messicano che ancora oggi fa girare le lancette del body count come le pale di un ventilatore infernale. Lampi di guerriglia tossica dal Brasile al Guatemala e un blob televisivo con le buffe dichiarazioni bushiane sul pugno duro anti droga abbinate ai sottopancia con l'elenco dei compromessi e delle connivenze, fanno da paravento all'ampio e inspirato spazio degustazione. Più piste di quante ne abbia mai prodotte la Polistil, varietà estremamente raffinate servite con posateria argentata fiorentina e leziosi specchietti da borsetta e da giacca armanizzata. L'accessoristica sfocia nella gadgettistica  quando scopri le pipette di Krizia, le stagnole virate acido di Pucci e set di cannucce Fiorucci che fanno invidia alle botteghe di ashi da sushi. Mentre i mariachi prendono fiato tracannando tequile col vermouth, le selezioni di miss e mister Bogotà vi servono il rinfresco su strisce binarie che vi farà fare ciuf ciuf sull'intera cordigliera andina fino ad una virtuale villeggiatura in quel di Macchu Picchu. Non siate ingordi, moderate le aspirazioni e potrete godervi il rap di Ramaya, i sacrifici degli alunni del Sole, il surf coi Beach Boys e una discesa bondiana sulle nevi di St. Moritz. E poi conversazioni ipotetiche con Oliver Stoned, scambi di palleggi rasoterra e a fil di linea del Pibe, caleidoscopiche passerelle di top sul binario del pop ma guardando allo chic di un hip coi suoi killer tic.
Per i più temerari c'è la saletta coca zero gravity, sperimentata da astro addicts come i Fantasmici 4. Ma occorre la prenotazione o almeno un seggio in consiglio regionale.

Direi che l'assaggio rende divertente anche il corner videogame vintage dal titolo "One more for the glory of the hole": un colorato arcade in Atari style che vi mette di un corriere allegro per niente con tanti ovuli in pancia e pochi posti dove scaricare. Trascorso un tempo non misurabile in frenetiche attività sensoriali e logorroiche che vi lasciano il cervello tipo meringa di gesso e il fisico ben asciutto e teso a budello di lemmings venite guidati dall'orchestrina al gate del commiato, dove sventolano fazzoletti per le epistassi, penzolano ridenti scheletri di zucchero dei confidenti troppo confidenti e zucche sforacchiate da calibri di fucili d'assalto. Qualunque varianza del meteo vi attenda oltre la soglia del Narco padiglione, di sicuro non vi farete caso, l'eco dell'ultimo corridos vi strapperà almeno una lacrima.

Ah, quasi dimenticavo, all’uscita vengono regalate pratiche bottigliette di "Enjoy coca no cola" da  15 cl che è altamente consigliabile tenere lontane dai cani della Finanza

mercoledì 20 maggio 2015

Expodoc


- Oh mio dio, senti la fragranza di questo cartone!
- Davvero un piatto gustoso, mai assaggiate delle pennette di cartone tanto buone. Dici che sarà merito del sugo al nero di polistirolo?
- Può darsi, nel menu c'è scritto: dalle migliori discariche della pianura padana. Ecco, però tu non esagerare con quel prosecco di percolato di Marghera. Anche se al ritorno prendiamo il treno, dopo devi guidare fino a casa.
- Andiamo, un altro bicchiere cosa vuoi che mi faccia. E poi non capita spesso di poter gustare simili prelibatezze. Siamo venuti apposta noh!
- Papà! Papà! Guarda cosa c'è nel mio piatto!
- Oddio GianGianni! Cos'è quella roba rossa? GianGemma non toccare più niente!
- Uhmm, vediamo. Proprio non saprei GianGiulia. Chiamo il cameriere.
- Senta!
- Signore?
- Scusi, capisco la cucina alternativa, ma cos'è questa cosa nell'hamburger di eternit di mia figlia? Guardi qui tra le fette di cellophane integrale...
- Ehm, ehm. Mi faccia vedere bene..oh sì, è un pomodoro.
- Un che?
- Un pomodoro!
- Ma si mangia?
- Bè, volendo sì, in realtà è una semplice guarnizione. Una trovata dello chef per dare colore al piatto.
- E allora dovrebbe essere indicata bene nel menu. Noi siamo venuti qui per il cibo tradizionale, i piatti tipici locali non potete mica infilarci un pezzo di podo...di pomodoro. 
- Diglielo GianGianni. E se la bambina si rompe un dente o gli va di traverso e soffoca?
- No, guardi che il pomodoro è biodegradabile. Anche se lo mangia non succede nulla...
Nulla? E' se la bambina fosse allergica a sta roba? Chi ci pensa? Almeno è senza proteine?
- Di..direi di  sì.
- Non mi sembra molto convinto. Di sicuro sarà pieno di vitamine...
- GianGianni, quella roba corrode!  
- Ma signori: il pomodoro è un alimento naturale!
- Naturale? 
- Ma come si permette di usare certi termini? Ci sono dei bambini! GianGianni, andiamo via!
- Sì, andiamo GianGiulia. E non finisce qua. Scriverò una lettera ai giornali. Altro che famare il pianeta: avvelenatori! Ecco cosa siete.

Nella grande sala del ristorante è calato il silenzio. La famigliola si alza da tavola sulle protesi tripodiche e con sguardi sdegnati punta verso la cassa, ben disposta a sollevare un putiferio. Il cameriere abbandona l'espressione attonita e si mette di spalle per celare un sorrisone soddisfatto. Si stacca un'unghia dell'anulare destro e la depone sul piatto dell'hamburger. La scaglia d'argento sfrigola e forma un kanji corrosivo che a contatto col pomodoro brilla: No Expo 2105.   

lunedì 18 maggio 2015

EXPOrgiamoci - il racconto



Stavano così, vicini e intoccabili, distaccati dal separé plasticato e dai compiti gemelli della bigliettazione. Fianco a fianco, uniti dalla contiguità del desk centimetrato e disgiunti dall'occupazione a termine, accomunati nella reciprocità del desiderio, cifrato nello sfioramento dei gomiti e nei variabili accenti sulle consegne dei resti monetari. Due amanti incatenati invisibilmente, dinanzi alle muraglie verticali degli entranti serali a Expo: 5 euri nulla compreso, manco il fatto che si sarebbe chiuso in qualche giro di lancetta lunga, giusto il tempo di arrivare al padiglione del Mojito della Basilicata con piano bar live dei Tuttifurti. 
Gianfranca e GianMario, così vicini così distinti, nelle divise bianco latte con lo stemmino sul taschino, entravano in servizio la sera, proprio per fare fronte all'invasione dei gaudenti notturni. Ma ad orario scaglionato,  ed essendo assunti da due agenzie diverse restavano incasellati in due segmenti temporali che non combaciavano, se non nella contemporanea presenza fisica alla gestione della cassa. E se fisicamente la legge dell'attrazione aveva svolto il suo corso maggiore avviluppandoli in onde di gravitazione centripeta che sviavano lo sguardo e accendevano rossori, latitava l'opportunità dell'incontro fisico. 

Gianmario e Gianfranca erano due giovani ventenni davanti ad un prato di speranze malandato, semi estirpato dagli unni del malgoverno e brucato alla peggio dalle generazioni precedenti. Il futuro per loro restava schiacciato sul presente prossimo come il pane sul companatico. Entrambi di famiglia piccolo borghese, di quelle che sfacchinando avevano tirato su la testa negli anni '80, avevano traballato negli anni '90 e infine riposto i ferri del mestiere mentre Bin Laden diventava di moda per lasciar posto ai figli. Posti che - sia detto - non ci sono più. Ma Gianmario e Gianfranca la trafila l'avevano seguita: avevano studiato, l'obbligo, le superiori e poi le lauree brevi, che c'era fretta di portare in casa qualche soldo. Sacrifici, rinunce, dileggi degli amici ricchi o dilapidatori, ma il pezzo di carta l'avevano portato a casa. Peccato che il recinto dell'occupazione fosse già chiuso: il cartello portava la scritta "crisi". Un lungo tunnel senza il conforto di prospettive, soltanto getti di coriandoli di promesse per mandrie elettorali. 
Gianmario e Gianfranca si erano comunque rimboccati i jeans finto Armani per affrontare il guado del precariato privi del conforto visivo dell'altra sponda affidandosi a quel che la corrente portava: call center, vendite porta a porta, sondaggi, promoter in centri commerciali, commessi stagionali, sostituti portalettere. E nel mezzo dello sbarco del lunario iniziavano ad avvertire i disagevoli sintomi di chi è depredato del tempo della sua vita, delle amicizie, degli affetti, dei progetti esistenziali. Da vivere restavano soltanto dei ritagli difformi e informi: tre quarti d'ora, mezze giornate in trasferta, minutaglie di autobus, scampoli di mattinate rovesciate nella parte sbagliata del sonno. Il risultato? Relazioni sociali semi azzerate, sbriciolate, affidate al vento della fortuna: gli amici se ne vanno, gli amori appassiscono e resta soltanto la voglia. Una voglia che non sa esprimersi e martella la testa, indurisce lo spirito, rende ombroso l'umore. In alcuni casi l'affossa. 

Ma la gioventù ha sensi fini e così era per Gianfranca e Gianmario, ventenni di bell'aspetto - che altrimenti non ti prendono, neppure alle casse dove la scelta del consumatore dovrebbe essere irreversibile - e soffici modi urbani - che non sai mai se chi ti sta a fianco è un supervisore sotto mentite spoglie - era iniziato un muto corteggiamento di sguardi e sorrisi che poteva competere con le complesse missive dei reclusi  Abelardo ed Eloisa. Sul fronte del lavoro non erano ammesse parole se non quelle rivolte a colui che ha sempre ragione (finché non ha pagato) e poi incanalati per uscite diverse nel sottobosco degli addetti gli amanti promessi finivano per smarrirsi, pur tentando più volte di rintracciarsi. Motivi di sicurezza impedivano lo stazionamento di soggetti sfaccendati nel retrobottega della grande esposizione. Capitava così che Gianfranca impiegasse ben cinque minuti per allacciarsi una scarpa sperando di vedere Gianmario uscire dal suo cubicolo. Ma niente. Gianmario tentò di imbucarsi nei bagni per depistare i controllori, ma gli addetti armati di scopettone ligi ai rigidi turni di pulizia lo sloggiavano via dal suo nascondiglio.

Eppure ormoni e feromoni si erano già stretti la mano come sensali di una unione che s'aveva da fare, imprescindibilmente. È così accadde: il separè di cui sopra, che rendeva le postazioni della biglietteria simili a cellette per polli, era costituito nella parte superiore da plexiglas e in quella inferiore da una sottile lastra di compensato impiallacciato di bianco. Proprio quest'ultima parte, non visibile al pubblico, era stata vittima della fretta di realizzo del complesso biglietteria. In pratica stava appesa con quattro graffette galeotte. E nel giorno x deciso dal destino di una sera con 500 visitatori già accodati alle casse, le fatidiche graffette, provate da calura e micro vibrazioni oppure semplicemente inchinandosi al volere del bizzoso Cupido, decisero di mollare le tavole di compensato d'un botto. Cavallerescamente il tavolato piombò sull'alluce di Gianmario che lanciò un ahio! ben maschio e distinto, catturando subito l'attenzione di Gianfranca.
- Che c'è? - si volse subito trepidante scoprendo nello sguardo del suo lui una smorfia convertita all'istante in celestiale contemplazione. Ad entrambi non sfuggiva che al "video" si era aggiunto "l'audio". Lo stolido muro divisorio era infine caduto e le voci degli amanti segreti si potevano finalmente incrociare.
- È caduto questo coso. - fremeva Gianmario.
- Vedo c'è un buco e adesso come si fa? - rabbrividiva Gianfranca.
- Non so vedo di sistemarlo, non vorrei l'addebitassero a noi. - s'illanguidiva Gianmario.
- Oh, no, già per quello che prendiamo. - sussurrò Gianfranca.
- L'hai detto - sancì Gianfranco tuffandosi sotto il bancone per poi riemergere subito in un barlume di cortesia per la clientela: ....mi scusi signora, abbiamo un problema, torno subito.
E Gianmario si rituffò sotto il bancone biglietteria. Gianfranca guardò l'uomo in attesa del suo resto, gli sorrise come per dire - c'est la vie - e poi andò sotto pure lei. In un attimo Gianmario e Gianfranca si trovarono faccia a faccia, senza divisori, senza linee di confine, occhi negli occhi e labbra...labbra da baciare. Un filtro magico non avrebbe fatto meglio, offuscando doveri e discipline per il trionfo di un piacere troppo a lungo macerato nel desiderio incompiuto. E dal bacio, venne la carezza e dalla carezza, un bacio ancor più lungo e appassionato. 

A poche manciate di centimetri, appena rassicurata da Gianmario, stava Ornella Troiani, 37 anni, nubile ossia zitella, con un piede nel campo della rassegnazione sentimentale e l'altro in un ufficio d'amministratori di condominii. Una signorina un po' puntigliosa che l'aspetto secco e il volto giallo per qualche problema di fegato trascinato da una adolescenza troppo indulgente in dolciumi al cioccolato, rendevano poco simpatica ai più. Nondimeno era maturata in lei l'idea di poter trovare in serata un valido corteggiatore al piano bar della grande esposizione. E per l'occasione s'era messa un vestito da sera ad ampio scollo sulla schiena e capelli nero pece raccolti a chignon modello Eva Kant. Al suo fianco, congedato da Gianfranca, in attesa di un resto monetario stava Otello Troietti, cinquantenne cintura nera di karate e baldo insegnante di Krav Maga per scelta - con quel cognome! - maglietta scolpita sui pettorali da copertina di Men's healt e gambe un po' divaricate per via dell'eccessivo carico muscolare sull'interno coscia. Otello aveva il cranio abbronzato e rasatissimo, decorato con motivi di ricrescita pilifera che il fantasioso parrucchiere aveva modellato ispirandosi a cerchi nel grano e grafiti tribali. Otello e Ornella si scambiarono uno sguardo da ascensore, quelli che l'istante dopo ti portano a scrutare la targhetta del peso e capienza massima o le affascinati disposizioni numeriche della pulsantiera. 

Passato il primo lunghissimo minuto di attesa fu chiaro che il temporaneo problema si era arricchito di qualche complicazione. Del resto provate voi ad amoreggiare attraverso una breccia di Porta Pia larga una sessantina di centimetri! Gianfranca e Gianmario stavano facendo del loro meglio. Ornella invece, ampiamente stizzita, fu tentata di battere il piede a terra, operazione altamente sconsigliata alle portatrici di tacco 12, quindi si accese provocatoriamente una sigaretta suscitando un'ondata di proteste dal fondo della fila in crescita. Che fa fuma? Ma si può? No che non si può! Mamma quando entriamo? Otello aveva finito il serbatoio di pazienza e al terzo "allora?" senza risposta concluse che stavano cercando di fregargli il resto, magari col trucco del cambio turno in cassa. Solitamente era più conciliante, giocava meglio le sue carte, i conflitti li gestiva come gli scontri sul tatami in palestra, ma la coda rumoreggiante alle spalle e l'apparente calma fumante della sua vicina lo incitavano e lo eccitavano. E iniziò a sbraitare... inutilmente: l'amore infatti è cieco e anche con l'udito non sta messo bene. Gianfranca e Gianmario, ormai avviluppati, erano nello stadio della totale incuranza del circostante. 

Otello appannò il vetro divisorio che tanto igienicamente preserva i bigliettisti dagli alitanti avventori con un definitivo "Allora!" ormai sul tono di aperta minaccia. I cassieri delle file in regolare svolgimento ebbero la netta e si bloccarono mentre il tapino Otello sferrava un colpo di maglio nel l'unico punto debole della complessa cristalleria frontale della biglietteria. Il vetro-parete di oltre duecento metri quadri, toccato nel segreto punto di pressione, implose in un catastrofico crash che in una pioggia di granuli trasparenti liberò i cubicoli. Lo spavento generale fu tale che Gianfranca e Giamario ebbero secondi preziosi per ricomporsi e cavarsela con una lieve reprimenda sulla scarsa tempestività di soccorso nei casi d'emergenza (tradotta in trattenuta sul compenso giornaliero). Incredibilmente tanti danni e ancor più paura non comportarono alcun ferito. L'unica perdita fu una pessima scivolata sotto la media delle presenze alla fiera dei record. Ornella e Otello si sposarono l'anno seguente, il racconto del loro incontro casuale è uno dei pezzi forti dell'aneddotica di famiglia, anche perché tra i regali di nozze c'era il fondo per ripagare la distruzione della mega vetrata. 
Gianfranca e Giamario? Lei si è trasferita a Berlino come ragazza alla pari, lui ha un part time in una ditta per l'eolico in Barbagia. Si sentono via Skype.

lunedì 4 maggio 2015

Expocalisse: il menu del cenone inaugurale


In esclusiva tutte le portate dell'evento che mette in tavola il meglio d'ITalia

Coperti invitati 3.500
Invitati vip lacedemoni: 300
Suocere: nessuna
Coperchi tirati 15.732
Scoperti (assegni) 4.300 girati su fondi pensione statale 

Aperitivo italico
Prosecco di Tashkent in succo di albicocco uruguagio
Precariato di Manduria 1999 con uovo di Colombo

Antipasti
Prosciutto San Daniele di Provenza
Scaglie di grane sindacali
Misto caldo Mare nostrum con crostini di scafisti
Bruschette Brunetta spalmate al senno di poi
Gran frittura vegana di spine d'ortica 

Nei bicchieri: 
Lambruscocacola senza glutine
Merlot Sapporo doc, dop e dik dik

Primi
Consommé addio Ilva Taranto
Tortellini di rana (rana toro della Battriana)
Tagliatelle di nonna Pina (Bausch) con sugo sulle punte
Lasagne alla Bavarese con Anas 4 corsie e frutti della selva nera
Carbonara del Corno d'Africa con macchie d'Ebola

In caraffa: 
Tocai soia gran riserva Manciuria
Morellino del Sultano di Dubai

Secondi
Impepata di Cozza nostra (surgelata Baltico)
Capitoni coraggiosi e furti di contrabbandieri macedoni
Timballo e ti spedisco di Poste Italiane 
Aragoste aragonesi soffritte in zola libico
Chianina d'Egitto con Morsi dispotici
Sformato di leprimerluzzo in fricassea alla Novartis

Dalle botti: 
Barcollo inclinato del 2001
Pinot grizzly del Vermont

Terzi non dati
Tartare di ripresa economica
Sorbetto in doppiopetto dell'orgoglio nazionale
Tagliata indiana di manzo alla Marò

Di pronta beva: 
Chianti alpini 
Chianti che ti sorpassa
Basta che non ti sChianti

Dessert
Sfogliatina di Imu al cioccolato berlinese
Meringata di Strasburgo servita su patto di stabilità
Crostata integralista di Isis mesopotamico 

Calicetto di:
Spumante Dolce o Spumante Gabbana

Caffè
Arabico
Brasilico
Cicorico
Naporsocapo

Ammazza caffè
Grappa somala 
Latte di viado
Elisir de wasabi

Performano durante la serata
I Blow jobs atc (rap hardcore, può contenere resti frattaglie non anatomicamente identificabili)
Gli Inti Illibati (pop edulcorato, gusto cannella)
Quartetto Intimi di Carnizia (classica vellutata)
Lindo Ferretti e Paolo Brosio (orazioni digestive)

Siparietti comici di Chiunque

Presentano bravissimamente: il pennellone Priapo Baudo, le curve di Hylari Obesi, i sillogismi freddi di Geppi Cacciari


Cronache flash
Il primo visitatore ferito al padiglione Turco è stato offerto da Zerbaflex, il materasso antidepressivo che ti avviluppa rilasciando morbide fragranze all'eucalipto e carpendoti il pin del cellulare per saltare di livello a Candy crash sagra.

sabato 2 maggio 2015

Expocalisse: il D Day



Seguendo la logica dello spot dei Pennelli cinghiale: per una grande inaugurazione servono grandi forbici. E così, probabilmente sottratte al clown Pierrot del circo Orfei ecco un taglio degno del buon ciclope. Sì perché il primo giorno di Expo un occhio occorre tenerlo chiuso e concentrarsi sulle espressioni di meraviglia dei partecipanti, ovviamente collaudate a casa davanti allo specchio.
Le ministre rigidamente intailleurate, le hostess infreddolite che reggono gli ombrelli come per una partenza di Formula uno sotto un cielo che promette buona sorte (Expo bagnata, Expo fortunata), i sacerdoti col k-way trasparente (prima di confonderli con possibili kamikaze talebani), i codazzi nervosi di fotoreporter, blogger saputi e duellisti da twitter, firme di quotidiani, direttori di rete, irritanti valchirie e valpaturnie della politichetta nostrana. E poi branchi di non-common people che sono riusciti a guadagnarsi spintonando un pass, un invito, un accompagnamento per godersi la primizia Expo. Son quelli del selvaggio selfie e del "tanti saluti da San Satanasso", capaci di perfidie e sotterfugi pur di "esserci". L'esserci è il nuovo avere, caro Erich Fromm.   

Si va per sale stampa, platee ingradinate, farcite di cartellette con comunicati fuori embargo e gadget spillati da collezione già prenotati su ebay. Si procede per prime visioni, prime ostensioni e poi tele-benedizioni. Ogni passo gode di plausi apparecchiati, forse pre-registrati, riflessi condizionati di cortesie per gli ospiti, quando gli ospiti siamo noi. Ospiti di un'idea che il mondo sia rappresentabile nel bicchiere mezzo pieno di Expo. Il premier Ratteo Menzi sfodera il meglio del repertorio per convincerci a sorseggiare la magica pozione che ci farà vedere una nuova ITalia, un Paese pieno di polveri e ruggine che vibra ancora di speranza come un sextoy griffato Gocce e Durlindana. E per marcare i concetti se ne esce con un paradosso temporale - il domani dell'oggi - che non scatena il diluvio ma applausi scroscianti. Oh, quanto vorrei ritornare al futuro senza dover attraversare questi condizionali della storia.

E ora qualche dato dalla regia su Expo: la superficie espositiva, escluse le pieghe temporali che hanno inghiottito i lavoratori in nero, ammonta a millantasettantordici cubiti gomorriani, il perimetro a forma del fegato di Carlo Porta è attraversato da un canale navigabile di acqua Brocchetta a diuresi facilitata, disseminato di pesci rospi in labirinti di vetro muranesco. La massa a strutturale secco invece pesa meno della supponenza delle correnti del Pd. I settantundici cestini di rifiuti sono firmati Prizia e nelle toilette non manca la rubinetteria Ginori. Attorno alla progettazione e prima gestione sono già fioriti interventi del tar, della magistratura ordinaria, dell'unione sensitivi per il pendolino, giri di mazzette, giri di balle, balle rifilate in helvetica corpo 64.

Prima di stordirvi con effetti specialissimi e martellamenti sugli zebedei, vi elenco le voci principali del menu della casa. Ci sono la collina mediterranea dei Fichissimi con Jerry Calà, Zorba il Geco e Omar Quantebello; la passerella cascina merlata in pasta di mandorle (im)portate dalla Sicilia e polenta taragna con grano serracchiano; la cascina Triulza dove Mazzini, Armellini e Saffi giocarono a Texas hold'em prima di partire per l'impresa della Repubblica romana; il Children park (non spaventatevi siamo in ITalia ed è lingua ITaliana corrente) per un Paese dove la natalità cresce grazie ai fertili lombi extranieri; il Media Center che stando al nome dovrebbe stare nel mezzo della planimetria e deve essersi spostato per una repentina inclinazione dell'asse terrestre; il padiglione del cibo sostenibile ossia una gara tra gli addetti ai tavoli (camerieri in gergo volgare) con pile di piatti unti da trasportare lungo un percorso ad ostacoli bersagliati da cecchini dei Nas. Su Palazzo Italia tiro il fiato un attimo perché qui si sono concentrati i soffici "patè" d'animo di molti: ce la faranno? Ci riusciremo? Ma soprattutto: riuscirà a reggere? 
Il concetto di Palazzo, con la P maiuscola che Pierpi Pasolini aveva coniato per definire la chiusura del potere, la lontananza dal popolo e dalle sue richieste, lo ritroviamo qui, nel terzo millennio, nel cuore dell'evento che vuole rappresentare il Paese al resto del mondo. Non c'è che dire, anzi soltanto da cantare: "gli intrighi e i loschi piani  dei mostri disumani" mai così idealmente manifesti nella forma del Palazzo.  
Per ultimo mi sono tenuto la ciliegina - bacata - ossia Exhibition ITalia, un padiglione che incarna il desiderio del secolo: esibirsi, mostrarsi, fare colpo. Qui troveremo il top de la creme, brand stagionati e griffe graffianti, insomma un pot-pourri of the best servito in tartine, tacco dodici e svelamenti di grandi bellezze altere, abilmente scelte per solleticare il bimbo in noi finché povianamente non si decide a pronunciare un meravigliato: oooh! 

Intanto a Milano sfila il corteo del Mayday, del primo maggio, dei lavoratori e dei non lavoratori, che in una repubblica con carta costituzionale che sancisce il suo fondamento sull'attività lavorativa suona un poco come una presa in giro collettiva. Ma...la vita l'e' bela l'e' bella, basta avere l'umbrela, sembra un giorno di festa. Festa come il primo maggio col cielo che minaccia pioggia, con la sfilata colorata, i cartelloni e gli striscioni con gli slogan creativi che il giorno dopo son rubati dai copywriter per tesserci future campagne pubblicitarie di multinazionali senza filtro. 

Ma nel mucchio ci stanno pure gli arrabbiati, i blocchi neri della contestazione, quelli che menano e rompono. Che se sei incazzato, hai perso il lavoro, ti tolgono i mezzi per campare, lo posso capire che perdi la ragione e vuoi sfasciare tutto. Purtroppo non è esattamente così, perché l'incursione con vernice, fumogeni e molotov da parata è lì bella studiata, pianificata per il leopardesco dì della festa. E non tanto per guastarla, che ci potrebbe anche stare se sei incazzato, ma per nascondercisi dietro e dentro, per trovare una mezza giustificazione alla gloria del sano devasto che ti regala l'orgasmo della notorietà vandalica: questo l'ho sfasciato io! Infatti se sei davvero antagonista incazzato non ci vai solo il dì della festa a bruciare auto e fumigare le strade, ma ci vai tutti i giorni. E magari invece delle solite vasche nelle vie del centro ti sbatti per individuare le reali sedi del potere temporale. Altrimenti sei un antagonista a chiamata, sei un robottino della protesta programmata, non tanto diverso dai precari che si fanno il mazzo ad Expo. Dove sta il blitz, il colpo al fianco scoperto del sistema, il senso della vittoria del piccolo contro il potente. No, qua è tutto scritto: non nel senso dei graffiti, ma nella prigione del rito mediatico, talmente prevedibile e puntuale che sarà macinato via in un batter d'occhio. 

Il contro evento sfascista non cancella l'evento Expo, anzi lo consolida, diventa il suo trampolino di lancio. Stavolta dietro le maschere di Guy Fawkes c'è davvero poco cervello. Qui il primo pischello col passamontagna che balbetta notav e noexpo si guadagna la patente di anarchico insurrezionalista con licenza di tirar sassate. Che poi tutto il danno finisce col solito balletto strepitante: comunisti di merda, no sono i fasci infiltrati, no ma hanno anche ragione, ma mio zio ha fatto il gelataio a Monaco di Baviera (andava forte il putsch alla fragola) e via così finché non comincia Porta a Porta e Vruno Bespa che c'ha l'intervista esclusiva con il responsabile dell'ufficio di collocamento dei nei di Ratteo Menzi. Le vere domande della gente della Val di Susa e delle altre emergenze lavorative e ambientali che fanno sembrare il Belpaese come uno stivaletto malese armeggiato da mastri torturai della Cina che fu, restano affidate al vento che disperde i fumogeni.

E dire che di domandone imbarazzanti ce ne sarebbero a frugare con onestà nel guazzabuglio concettuale di Expo.
Vogliamo dire qualcosa dello slogan: nutrire il pianeta. Scusate il puntiglio, ma il pianeta? Il pianeta ha bisogno di nutrimento oppure è la disorganizzata, predatoria specie umana nella fattispecie sapiens a necessitare di una sala mensa? Certo dire pianeta è più fico, l'impatto sul pubblico è diverso. Come parlare della fine del mondo per descrivere un'epidemia di influenza. Anche con tutta la buona volontà autodistruttiva, potremmo estinguerci come specie, ma il pianeta terra tirerà avanti senza di noi che occupiamo soltanto ristrette porzioni della sua superficie. È vero, siamo molesti, scaviamo buche,  bruciamo legna e carbone, facciamo fumo e un po' di radiazioni pesanti. Ma bastano due terremoti e un vulcano risvegliato per farci capire che la natura quando si incazza può fare di peggio e se ne frega dei mutui immobiliari, dei modelli di statistica e delle nostre apprensioni ipocrite per madre terra, che tra l'altro se la cava da sola già da qualche milione di anni prima della formazione atomica delle nostre verdi coscienze. 

L'altro sottotitolo, "Energia per la vita" ha vinto il premio lapalisse 2014, sì perché è talmente poco originale che gli hanno dato il trofeo dell'anno prima. Che la vita richieda energia è straovvio. Interessante interrogarsi magari su un quesito che suona come: ma quanta energia serve per una vita decente? Forse mettendo al lavoro qualche smanettante informatico e due esperte di statistica si scoprirà che di energia ne produciamo parecchia e ne sprechiamo altrettanta. Usiamo sistemi poco efficienti, combustibili che alterano l'ecosistema e soprattutto buttiamo denari e vite per accaparrarceli, disperdendo così altra preziosa energia. Ma per dire e illustrare tutto ciò, c'è bisogno di un'Expo? La domanda non è provocatoria poiché se riconosciamo l'importanza e l'urgenza di rivedere la politica energetica mondiale allora serve qualcosa di più robusto di una serie di convegni e qualche mostra a tema. Tanto si sa, gli studiosi parlano e si confrontano (ormai senza bisogno di attendere meeting) ma alla fine sono i politici che firmano le decisioni che portano i Paesi a pancia all'aria. E il machiavellico Prince ci insegna di nuovo che una promessa elettorale pesa più di uno studio che decreta un disastro ecologico. Dobbiamo rassegnarci anche a questo: oltre a lasciare appeso al chiodo il nuovo miracolo italiano, Expo non salverà neanche il mondo. Mentre sul fronte della ristorazione...

venerdì 1 maggio 2015

Expocalisse: La dura notte del giorno prima di domani


Siete tutti più intelligenti e acculturati di me, non ho dubbi. quindi saprete spiegarmi il significato preciso della parola cluster. Che si pronuncia claster. e che ha un suono secco, come una tanica metallica vuota di gasolio che vi sfugge di mano all'improvviso e sbatte a terra mentre state asportando carburante dall'auto del vicino di casa. Saprete dirmi che cluster è un termine inglese, che ha un tale significato e che nel gergo internazionale degli allestimenti ha un senso specifico per definire una organizzazione espositiva tematica. Ma io sono ignorante, e allora quando per la terza volta sento pronunciare dal bravissimo presentatore Baolo Ponolis, padrone della scena in piazza Duomo per la serata pre-inaugurale di Expo, la parola cluster allora come un Harry Potter qualsiasi decollo, parto per la tangenziale della fantasia. 

Cosa è il cluster? In soldoni è un'avamposto. Sì, le nostre stazioni orbitanti sganciano i cluster sugli obiettivi. Atterrano di notte e fuori dalla schermatura radar grazie ad un sistema di depistaggio a specchio del segnale. giù all'Expo ne abbiamo piazzati otto. E tutte le mattine gli operai che iniziavano il turno erano contenti di tutto il lavoro che avevano fatto i colleghi. Diamine, abbiamo quasi finito! Cavolo, vuoi vedere che riusciamo a finire in tempo anche se si sono mangiati le paghe del mese scorso? Poi quando per caso entrano nei cluster cambiano idea, anzi per dirla tutta cambiano cervello. Perché è così che ci insediamo sul pianeta. Non possiamo certo andare in giro con ingombranti tute scafandrate o costose navicelle antigravitazionali non detraibili fiscalmente. Ci muoviamo con mani e piedi dei nativi. Bastano poche incisioni nell'area d'alloggiamento cerebrale, asportiamo quella poltiglia grigia in sovrappiù ed ecco un veicolo perfetto per muoversi nel nuovo habitat terrestre. La guida è abbastanza semplice - si tratta di un veicolo dalle limitate capacità motorie - lo spostamento superficiale, con un paio di pasti in media arriva a fare un centinaio di chilometri. Dopo una decina di lezioni pratiche e qualche accompagnamento in strada, sarete padroni del vostro portatore terrestre. Superato il test teorico e una guida assistita a distanza, avrete il vostro bel diploma di guida. Solitamente consigliamo di non allontanarsi dal continente europeo nelle prime due settimane, ma la nostra rete di assistenza si sta diffondendo rapidamente e presto potremo rispondere alle chiamate di emergenza in ogni località del globo.
Ma tornando ad Expo, gli otto cluster sono, per dare un idea, dei reparti ostetrici. Pratichiamo rapidi e sicuri cesarei craniali, ma la nuova vita non esce, entra nell'ospite, lo governa come una qualsiasi auto. Finora ci siamo dedicati ai modelli operai e qualche architetto di passaggio. Quando la manifestazione aprirà i battenti, la varietà di scelta aumenterà sensibilmente. Avremo a disposizione gente di tutti i paesi, autorità, capi di stato e personalità di spicco. Gli otto cluster dedicati a riso, caffè, cacao, patate, semi e zone aride, umide e marine richiameranno una varietà di persone da tutto il mondo.
Naturalmente ad un certo punto faremo una selezione all'ingresso, non possiamo occupare tutti indistintamente. L'invasione di un pianeta è anche una questione di qualità. Troppi tentativi falliti: ci siamo sciroppati le puntate di Visitors, Megaloman e Ufo robot mica per niente. Expo è stato da subito il modello teorico vincente per una società a schizofrenia variabile come quella terrestre e lo replicheremo di certo se verrà centrato l'obiettivo di contenimento del budget.

La visione si interrompe e torniamo sulla Rai che ci allieta con la facciata del Duomo meneghino, valorizzata con tagli di luce che manco la spada di Darth Vader. Baolo Ponolis, circumnavigando la sua meringosa spalla, Tantonella Pericli, sciorina con dizione a prova di accademia della crusca i contenuti e i contenitori di Expo, accompagnato da sbirciature ad effetto, fiabesche inquadrature e montaggi analogici di intrecci nidiformi e gradinate eisesteniane. Un viaggio nel mondo dietro casa nostra, un tuffo nel mondo che verrà e soprattutto tanto da magnà. E sì, perché se il rilancio parte dal restauro, qui in ITalia parte dalla ristorazione: mangiamoci sopra. 
Ahi! Ahio! La bacchettata virtuale arriva Momo Roboni, governatore sassofonista della regione lombarda e, per transitiva proprietà, gran visir dell'evento milanese. Ce l'ha con i gufi, i menatori di grame figure che oggi come se fosse già domani sbeffeggia dietro i suoi occhialucci wertmullerriani: alla fine ci siamo riusciti, abbiamo aperto Expo. Oh, sì, per aprire si apre, ma l'iter per giungere alla meta del pianeta Expo è stato molto avventuroso, direi come una puntata di Vita da Strega mixata con Romanzo criminale, uno spruzzo de I Cesaroni, guarnita con una scorza di Boris (nella precisa citazione "si gira alla cazzo"). Ma in ITalia, lo insegna il piccolo principe tascabile di Machiavelli, quando si tratta con la plebe conta il risultato estetico mica la sostanza sonante. E quindi la meta è stata colta: delle attese, delle beghe, dei piedi pestati, dei pianti versati, dei soldi sprecati e intascati, dei progetti scritti e cancellati, dei torti subiti e restituiti in definitiva frega poco, quasi niente. Alla magistratura semmai, un dì da venire, l'ardua sentenza. A noi un calororoso: benvengExpo!

In piazza Duomo il clima è umido e gocciolante, tecnicamente "freschetto". La grande orchestra forgiata alle esibizioni in quota e i cantanti d'opera ben carburati non hanno bisogno di scaldare i motori: si leva il Va' pensiero, cade una Furtiva lacrima e in fronte alla Madunina sorge O sole mio. Che le vocalità e le armonie siano veicolate da corpi non totalmente italici, che importa. Qua lo straniero è passato e ripassato da un pezzo e il Piave c'ha poco da mormorare, viene sommerso dallo scroscio degli applausi in expovisione.
Prima che la sigla beneficiata dall'ugola boccellesca abbia compimento nella chiusa dell'antipasto eventuale, il bravo Ponolis riesce a irraggiare un poco di umanità anche sulla autorità Expo numero uno, incaricata della ruota del timone. Un soggetto longilineo di fattura manageriale, che forza la sua natura di calcolo e convenienza nel simulare un entusiasmo giovanile: vorrebbe contrabbandare i sudori freddi per i cavi scoperti e i cementi di fresca posa con un'allegrezza da "finché la banca va", però è consapevole d'essere l'anello debole del concatenamento, se la polvere sotto lo zerbino diventerà collina allora la medaglia del disonore sarà appuntata sulle sue chiappe. Dalle labbra vorrebbe sfuggirgli un "più di così..." con braccia spalancate alla Cristo prefigurando scene di lapidazione e depilazione sommaria; ma Ponolis lo sorregge, non lascia spazio alla malinconoia e trancia infine la trama delle impressioni passando la parola alle mani di Lang Lang, invidiabile ginnasta del piano. 

Fa ancora più fresco in piazza a Milano. Ma la temperatura è destinata a salire nel giro di poche ore, senza variazioni del meteo. Ah, meraviglie dell'antico rito protestatario.         

Expocalisse vavavuma!


Se, come ha affermato solennemente l'augusto presidente del consiglio Ratteo Menzi, "oggi comincia il domani", la nostra storia è nata ieri. Inizia infatti in una grigia mattina di Primo maggio alla periferia de-industrializzata di Milano, capitale amorale d'ITalia,  Paese di rari profumi e ancor più rari baiocchi avviato con sapienti riforme dallo stato democratico repubblicano a quello catatonico.

Quella mattina del terzo millennio, accidentalmente segnata sui calendari planetari come festa dei lavoratori, resterà scolpita nelle centurie a venire per l'avvio di Expo 2015, ossia l'esposizione "universale" di Milano. Il virgolettato sull'universale è farina del pudico cronista, lesto nel raccattare un cencio di modestia dinanzi alla nudità principesca del fatto esposto. 

Expo infatti si ammanta di altissime aspettative, è circonfusa di promesse di indicibili cornucopie e mirabolanti balsami per il tremebondo italico medio che guarda preoccupato il livello di povertà fluire sopra la caviglia. Il santo Graal, l'anello dei Nibelunghi, il decimo pianeta di Danguard hanno avuto aspettative e battage pubblicitari minori rispetto all'evento fieristico oggetto delle nostre future cronache. 

Expo, detta amichevolmente "occasione" per il pianeta e "scommessa" per lo Stivale, è la formula magica per far muovere le sorti del Paese verso il segno positivo del pil. I potentati politici, imprenditoriali e bancari dai rispettivi e intercambiabili palcoscenici concordano con fermezza ferrea e categorica: Expo non una fiera degli "oh bej oh bej" 2.0, è il seme del futuro del Paese. 
Sì, sento già la sigla di Capitan Futuro...

Splendido, splendido nel cielo va,
Capitan Futuro il più puro degli eroi
Capitan Futuro picchia duro anche per noi
Capitan Futuro il domani vive già
Capitan Futuro di una nuova civiltà....