sabato 2 maggio 2015

Expocalisse: il D Day



Seguendo la logica dello spot dei Pennelli cinghiale: per una grande inaugurazione servono grandi forbici. E così, probabilmente sottratte al clown Pierrot del circo Orfei ecco un taglio degno del buon ciclope. Sì perché il primo giorno di Expo un occhio occorre tenerlo chiuso e concentrarsi sulle espressioni di meraviglia dei partecipanti, ovviamente collaudate a casa davanti allo specchio.
Le ministre rigidamente intailleurate, le hostess infreddolite che reggono gli ombrelli come per una partenza di Formula uno sotto un cielo che promette buona sorte (Expo bagnata, Expo fortunata), i sacerdoti col k-way trasparente (prima di confonderli con possibili kamikaze talebani), i codazzi nervosi di fotoreporter, blogger saputi e duellisti da twitter, firme di quotidiani, direttori di rete, irritanti valchirie e valpaturnie della politichetta nostrana. E poi branchi di non-common people che sono riusciti a guadagnarsi spintonando un pass, un invito, un accompagnamento per godersi la primizia Expo. Son quelli del selvaggio selfie e del "tanti saluti da San Satanasso", capaci di perfidie e sotterfugi pur di "esserci". L'esserci è il nuovo avere, caro Erich Fromm.   

Si va per sale stampa, platee ingradinate, farcite di cartellette con comunicati fuori embargo e gadget spillati da collezione già prenotati su ebay. Si procede per prime visioni, prime ostensioni e poi tele-benedizioni. Ogni passo gode di plausi apparecchiati, forse pre-registrati, riflessi condizionati di cortesie per gli ospiti, quando gli ospiti siamo noi. Ospiti di un'idea che il mondo sia rappresentabile nel bicchiere mezzo pieno di Expo. Il premier Ratteo Menzi sfodera il meglio del repertorio per convincerci a sorseggiare la magica pozione che ci farà vedere una nuova ITalia, un Paese pieno di polveri e ruggine che vibra ancora di speranza come un sextoy griffato Gocce e Durlindana. E per marcare i concetti se ne esce con un paradosso temporale - il domani dell'oggi - che non scatena il diluvio ma applausi scroscianti. Oh, quanto vorrei ritornare al futuro senza dover attraversare questi condizionali della storia.

E ora qualche dato dalla regia su Expo: la superficie espositiva, escluse le pieghe temporali che hanno inghiottito i lavoratori in nero, ammonta a millantasettantordici cubiti gomorriani, il perimetro a forma del fegato di Carlo Porta è attraversato da un canale navigabile di acqua Brocchetta a diuresi facilitata, disseminato di pesci rospi in labirinti di vetro muranesco. La massa a strutturale secco invece pesa meno della supponenza delle correnti del Pd. I settantundici cestini di rifiuti sono firmati Prizia e nelle toilette non manca la rubinetteria Ginori. Attorno alla progettazione e prima gestione sono già fioriti interventi del tar, della magistratura ordinaria, dell'unione sensitivi per il pendolino, giri di mazzette, giri di balle, balle rifilate in helvetica corpo 64.

Prima di stordirvi con effetti specialissimi e martellamenti sugli zebedei, vi elenco le voci principali del menu della casa. Ci sono la collina mediterranea dei Fichissimi con Jerry Calà, Zorba il Geco e Omar Quantebello; la passerella cascina merlata in pasta di mandorle (im)portate dalla Sicilia e polenta taragna con grano serracchiano; la cascina Triulza dove Mazzini, Armellini e Saffi giocarono a Texas hold'em prima di partire per l'impresa della Repubblica romana; il Children park (non spaventatevi siamo in ITalia ed è lingua ITaliana corrente) per un Paese dove la natalità cresce grazie ai fertili lombi extranieri; il Media Center che stando al nome dovrebbe stare nel mezzo della planimetria e deve essersi spostato per una repentina inclinazione dell'asse terrestre; il padiglione del cibo sostenibile ossia una gara tra gli addetti ai tavoli (camerieri in gergo volgare) con pile di piatti unti da trasportare lungo un percorso ad ostacoli bersagliati da cecchini dei Nas. Su Palazzo Italia tiro il fiato un attimo perché qui si sono concentrati i soffici "patè" d'animo di molti: ce la faranno? Ci riusciremo? Ma soprattutto: riuscirà a reggere? 
Il concetto di Palazzo, con la P maiuscola che Pierpi Pasolini aveva coniato per definire la chiusura del potere, la lontananza dal popolo e dalle sue richieste, lo ritroviamo qui, nel terzo millennio, nel cuore dell'evento che vuole rappresentare il Paese al resto del mondo. Non c'è che dire, anzi soltanto da cantare: "gli intrighi e i loschi piani  dei mostri disumani" mai così idealmente manifesti nella forma del Palazzo.  
Per ultimo mi sono tenuto la ciliegina - bacata - ossia Exhibition ITalia, un padiglione che incarna il desiderio del secolo: esibirsi, mostrarsi, fare colpo. Qui troveremo il top de la creme, brand stagionati e griffe graffianti, insomma un pot-pourri of the best servito in tartine, tacco dodici e svelamenti di grandi bellezze altere, abilmente scelte per solleticare il bimbo in noi finché povianamente non si decide a pronunciare un meravigliato: oooh! 

Intanto a Milano sfila il corteo del Mayday, del primo maggio, dei lavoratori e dei non lavoratori, che in una repubblica con carta costituzionale che sancisce il suo fondamento sull'attività lavorativa suona un poco come una presa in giro collettiva. Ma...la vita l'e' bela l'e' bella, basta avere l'umbrela, sembra un giorno di festa. Festa come il primo maggio col cielo che minaccia pioggia, con la sfilata colorata, i cartelloni e gli striscioni con gli slogan creativi che il giorno dopo son rubati dai copywriter per tesserci future campagne pubblicitarie di multinazionali senza filtro. 

Ma nel mucchio ci stanno pure gli arrabbiati, i blocchi neri della contestazione, quelli che menano e rompono. Che se sei incazzato, hai perso il lavoro, ti tolgono i mezzi per campare, lo posso capire che perdi la ragione e vuoi sfasciare tutto. Purtroppo non è esattamente così, perché l'incursione con vernice, fumogeni e molotov da parata è lì bella studiata, pianificata per il leopardesco dì della festa. E non tanto per guastarla, che ci potrebbe anche stare se sei incazzato, ma per nascondercisi dietro e dentro, per trovare una mezza giustificazione alla gloria del sano devasto che ti regala l'orgasmo della notorietà vandalica: questo l'ho sfasciato io! Infatti se sei davvero antagonista incazzato non ci vai solo il dì della festa a bruciare auto e fumigare le strade, ma ci vai tutti i giorni. E magari invece delle solite vasche nelle vie del centro ti sbatti per individuare le reali sedi del potere temporale. Altrimenti sei un antagonista a chiamata, sei un robottino della protesta programmata, non tanto diverso dai precari che si fanno il mazzo ad Expo. Dove sta il blitz, il colpo al fianco scoperto del sistema, il senso della vittoria del piccolo contro il potente. No, qua è tutto scritto: non nel senso dei graffiti, ma nella prigione del rito mediatico, talmente prevedibile e puntuale che sarà macinato via in un batter d'occhio. 

Il contro evento sfascista non cancella l'evento Expo, anzi lo consolida, diventa il suo trampolino di lancio. Stavolta dietro le maschere di Guy Fawkes c'è davvero poco cervello. Qui il primo pischello col passamontagna che balbetta notav e noexpo si guadagna la patente di anarchico insurrezionalista con licenza di tirar sassate. Che poi tutto il danno finisce col solito balletto strepitante: comunisti di merda, no sono i fasci infiltrati, no ma hanno anche ragione, ma mio zio ha fatto il gelataio a Monaco di Baviera (andava forte il putsch alla fragola) e via così finché non comincia Porta a Porta e Vruno Bespa che c'ha l'intervista esclusiva con il responsabile dell'ufficio di collocamento dei nei di Ratteo Menzi. Le vere domande della gente della Val di Susa e delle altre emergenze lavorative e ambientali che fanno sembrare il Belpaese come uno stivaletto malese armeggiato da mastri torturai della Cina che fu, restano affidate al vento che disperde i fumogeni.

E dire che di domandone imbarazzanti ce ne sarebbero a frugare con onestà nel guazzabuglio concettuale di Expo.
Vogliamo dire qualcosa dello slogan: nutrire il pianeta. Scusate il puntiglio, ma il pianeta? Il pianeta ha bisogno di nutrimento oppure è la disorganizzata, predatoria specie umana nella fattispecie sapiens a necessitare di una sala mensa? Certo dire pianeta è più fico, l'impatto sul pubblico è diverso. Come parlare della fine del mondo per descrivere un'epidemia di influenza. Anche con tutta la buona volontà autodistruttiva, potremmo estinguerci come specie, ma il pianeta terra tirerà avanti senza di noi che occupiamo soltanto ristrette porzioni della sua superficie. È vero, siamo molesti, scaviamo buche,  bruciamo legna e carbone, facciamo fumo e un po' di radiazioni pesanti. Ma bastano due terremoti e un vulcano risvegliato per farci capire che la natura quando si incazza può fare di peggio e se ne frega dei mutui immobiliari, dei modelli di statistica e delle nostre apprensioni ipocrite per madre terra, che tra l'altro se la cava da sola già da qualche milione di anni prima della formazione atomica delle nostre verdi coscienze. 

L'altro sottotitolo, "Energia per la vita" ha vinto il premio lapalisse 2014, sì perché è talmente poco originale che gli hanno dato il trofeo dell'anno prima. Che la vita richieda energia è straovvio. Interessante interrogarsi magari su un quesito che suona come: ma quanta energia serve per una vita decente? Forse mettendo al lavoro qualche smanettante informatico e due esperte di statistica si scoprirà che di energia ne produciamo parecchia e ne sprechiamo altrettanta. Usiamo sistemi poco efficienti, combustibili che alterano l'ecosistema e soprattutto buttiamo denari e vite per accaparrarceli, disperdendo così altra preziosa energia. Ma per dire e illustrare tutto ciò, c'è bisogno di un'Expo? La domanda non è provocatoria poiché se riconosciamo l'importanza e l'urgenza di rivedere la politica energetica mondiale allora serve qualcosa di più robusto di una serie di convegni e qualche mostra a tema. Tanto si sa, gli studiosi parlano e si confrontano (ormai senza bisogno di attendere meeting) ma alla fine sono i politici che firmano le decisioni che portano i Paesi a pancia all'aria. E il machiavellico Prince ci insegna di nuovo che una promessa elettorale pesa più di uno studio che decreta un disastro ecologico. Dobbiamo rassegnarci anche a questo: oltre a lasciare appeso al chiodo il nuovo miracolo italiano, Expo non salverà neanche il mondo. Mentre sul fronte della ristorazione...

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