sabato 27 novembre 2010
lunedì 22 novembre 2010
lunedì 23 agosto 2010
Sogno extra
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxNvi297FeEd4zxDWjiRQD03N7ZFjgRoajwEq28fKnqGiTQDF-Ynem6eOdBjwpKCcSfCX7SH4YU8UvMcv183ZS5qNHCVAdrX-xzYDxw09qRImBeU1W9VU5diVF6jmEEU9EhfWpNWzbCLc/s200/agentx.jpeg)
Quando torno sfinito nel salotto di casa, la casa dei miei, c'è mio padre. "Ieri sera abbiamo guardato questo". E' un dvd con copertina amatoriale e colori confusi, intuisco una sagoma in mezzo alle vampate di fuoco di un'esplosione. "Un film alla James Bond, ma girato in dialetto piemontese". Non me lo faccio dire due volte, il disco gira già nel lettore. Però guardo gli extra, sezione effetti speciali. Una mini teleferica scorre sopra un bacino d'acqua, i cavi vengono tranciati da un'esplosione e precipita: l'eroe ovviamente non affoga nella prematura bara ma riemerge e... stacco, vede avvicinarsi l'inequivocabile pinna di squalo. I tecnici spiegano i trucchi: il volo è stato di pochi metri. Il problema più grosso era mantenere la cabina in equilibrio. Se si rovesciava per lo stuntman sarebbe stato difficile uscire. Per questo i cavi non vengono tagliati, ma semplicemente si allentano di botto immergendo la struttura in acqua.
Ci sono poi le incognite della corrente, visto che il bacino non deve dare l'idea di una grande vasca e grosse pompe provvedono a creare l'effetto ribollimento. Lo stuntman è ripreso dall'interno: in un attimo l'acqua sprizzava ovunque. Lui sgancia le cinghie e armeggia con la porta mentre un sub lo riprende dall'esterno. Un tecnico, avvisato dall'ingegnere degli effetti con cronometro alla mano, fa scattare infine il dispositivo d'apertura delle porte. "Ci vuole un bel coraggio per fare una cosa del genere". Ancora di più a farla in piemontese.
sabato 21 agosto 2010
la riunione.4
Alla nuca sento il formicolio del pericolo: mi accorgo che siamo accompagnati nel nostro galoppo attraverso l'accampamento. C'è un ragazzo di carnagione olivastra in jeans e maglietta scura che comincia a fiancheggiare la dottoressa. Ha un fare poco rassicurante. "Levati di mezzo" sibilo. Ma quello non mi sente. Decido di attendere un luogo meno affollato. Usciamo allo scoperto tra l'erba e i calcinacci. Il giovane spintona la dottoressa in un androne di cemento: un vecchio ingresso ai garage interrati invaso da un impasto di tegole sbriciolate. Lei vorrebbe gridare ma si ritrova senza fiato.
Anch'io sono un po' provato ma prendo lo slancio per rifilargli un paio di calci che lo sbattono a terra. Rapido come un fulmine entra in scena un altro uomo. Sono stato stupido: era una tattica. Il tipo in shorts e canottiera ha un fisico asciutto e muscoloso, pare un corridore. Forse per quello non l'ho sentito arrivare. Ghigna e mastica parole con fare beffardo. Io mi metto in posizione di guardia e lui provoca. Vuole agganciarmi con le sue zampe lunghe, ma mi tengo a distanza e sferro colpi ben precisi: gancio al fianco, finta, finta, dritto sul naso.
Fatto male? Ride ancora, ma stavolta alza la guardia. Finta per lo stomaco e dritto in faccia. E' un po' lento a ripararsi e allora raddoppio cercando di raccolgiere le ultime forze. Poi un altro destro al fianco che lo sbilancia. E' cotto, perde l'equilibrio e casca a gambe all'aria. La pendenza me lo fa rotolare contro. In faccia mi ritrovo i suoi polpacci pelosi stretti nelle calze bianche sportive che mi fanno ricordare un tacchino pronto per il forno. Un'immagine che apre la breccia di altri ricordi: ritrovo così nella figura di quel podista sfigato un vecchio amico. Ed ecco la verità dissepolta: anche io ero uno del branco prima d'essere reclutato.
Ha senso continuare la missione?
Anch'io sono un po' provato ma prendo lo slancio per rifilargli un paio di calci che lo sbattono a terra. Rapido come un fulmine entra in scena un altro uomo. Sono stato stupido: era una tattica. Il tipo in shorts e canottiera ha un fisico asciutto e muscoloso, pare un corridore. Forse per quello non l'ho sentito arrivare. Ghigna e mastica parole con fare beffardo. Io mi metto in posizione di guardia e lui provoca. Vuole agganciarmi con le sue zampe lunghe, ma mi tengo a distanza e sferro colpi ben precisi: gancio al fianco, finta, finta, dritto sul naso.
Fatto male? Ride ancora, ma stavolta alza la guardia. Finta per lo stomaco e dritto in faccia. E' un po' lento a ripararsi e allora raddoppio cercando di raccolgiere le ultime forze. Poi un altro destro al fianco che lo sbilancia. E' cotto, perde l'equilibrio e casca a gambe all'aria. La pendenza me lo fa rotolare contro. In faccia mi ritrovo i suoi polpacci pelosi stretti nelle calze bianche sportive che mi fanno ricordare un tacchino pronto per il forno. Un'immagine che apre la breccia di altri ricordi: ritrovo così nella figura di quel podista sfigato un vecchio amico. Ed ecco la verità dissepolta: anche io ero uno del branco prima d'essere reclutato.
Ha senso continuare la missione?
la riunione.3
Ma io non mi arrendo, voglio recuperare il materiale a costo di rifare tutto il percorso. La dottoressa in carriera pare della stessa opinione e si lancia di corsa in mezzo ai caseggiati. Per ritornare al punto di sviluppo del progetto più rapidamente è la via migliore, certo non la più sicura. Scopriamo che gli edifici non sono abbandonati: decine di uomini, senzatetto, clandestini, sbandati di varia natura ne hanno fatto il loro rifugio. Passiamo correndo tra bivacchi, guardaroba ammucchiati in sacchetti di plastica e giacigli improvvisati tra pilastri impiastrati di graffitti. C'è chi stende panni, chi sta attorno al fuoco ascoltando la radio. Qualcuno si gode il lusso di un televisore in bianco e nero. Aleggiano melodie radiofoniche mediorientali tra vapori di couscous indefinibili. Ancora un paio di blocchi e ci siamo.
la riunone.2
All'improvviso mi accorgo che sull'altro lato della riva erbosa ci sono due uomini in smoking. Discutono amabilmente in una lingua straniera, hanno un accento del Baltico. Qualcosa mi fa pensare a un paio di diplomatici che indugiano in giardino dopo un ricevimento particolarmente noioso, ma sento che la loro presenza nei pressi del nostro percorso non è così casuale. A un certo punto uno, il più anziano, indica un punto nell'acqua e piega le ginocchia per vedere meglio. Sono sorpreso quando rivolge con una serie di vezzeggiativi a un grosso pesce nero marmorizzato che si muove sinuoso a pelo d'acqua. Le pinne laterali sono ampie come palme, davvero sembrano prototipi di mani. Questa visione mi riscuote, facendomi ricordare il mio compito. Ma è troppo tardi: la linea si è spezzata. I "colleghi" si sono sparpagliati per guardare quel cavolo di pesce. La concentrazione è svanita e con essa tutti i dati "trasportati" dalla colonna.
la riunione
Una sessione di studio, una lunga tavolata con progettisti, ingegneri e manager. Giovani esperti dinamici e preparati. Arrivo io, un po' intimidito e malfermo nelle mie competenze: chiedo subito perchè una riunone in mezzo a una serie di edifici vuoti e abbandonati. Perchè è qui che verrà sviluppato il progetto, risponde sorridente la team leader in tailleur e scignon dirigenziale. Come se fosse normale accumulare dati e carte in mezzo all'erba alta e i calcinacci, circondati dagli scheletri in cemento di palazzi popolari mai completati. Inizia lo show di architetti e designer con mappali e slide rotanti: le idee fioccano, le sovrapposizioni si sprecano in una gara di acume e originalità. Il mio disagio aumenta: quando dovrò intervenire?
Noto però che la donna si apparta per una telefonata al cellulare: sul suo volto si legge la preoccupazione. L'agitazione cresce con sguardi e passaparola. "Dobbiamo andarcene, subito". Intuisco problemi di sicurezza, ma non c'è tempo per spiegazioni. E il materiale? Possiamo creare una "linea" - una suggestione ipnotica di bassa intensità in grado di conservare il momento ispirativo - e trasferirlo. Certo, ma chi guida? Non so perchè ma la scelta cade sul sottoscritto, forse sono un conoscitore della zona ed è per queste informazioni che faccio parte dei convitati. Il trasferimento in "linea" però non ha nulla a che fare con internet: si tratta di una fila indiana di persone lungo un percorso di ringhiere, staccionate e corrimano tra ombre fiochi bagliori di una giornata che volge all'imbrunire.
E' come una seduta spiritica, ma in movimento. Io apro il cammino con grande sicurezza, tutto fila liscio finchè non ci tocca costeggiare un canale d'acqua torbida: con le mani, a palmi rivolti verso il basso, sfioro la sommità in pietra del parapetto. Così si mantiene la "linea".
Noto però che la donna si apparta per una telefonata al cellulare: sul suo volto si legge la preoccupazione. L'agitazione cresce con sguardi e passaparola. "Dobbiamo andarcene, subito". Intuisco problemi di sicurezza, ma non c'è tempo per spiegazioni. E il materiale? Possiamo creare una "linea" - una suggestione ipnotica di bassa intensità in grado di conservare il momento ispirativo - e trasferirlo. Certo, ma chi guida? Non so perchè ma la scelta cade sul sottoscritto, forse sono un conoscitore della zona ed è per queste informazioni che faccio parte dei convitati. Il trasferimento in "linea" però non ha nulla a che fare con internet: si tratta di una fila indiana di persone lungo un percorso di ringhiere, staccionate e corrimano tra ombre fiochi bagliori di una giornata che volge all'imbrunire.
E' come una seduta spiritica, ma in movimento. Io apro il cammino con grande sicurezza, tutto fila liscio finchè non ci tocca costeggiare un canale d'acqua torbida: con le mani, a palmi rivolti verso il basso, sfioro la sommità in pietra del parapetto. Così si mantiene la "linea".
sabato 29 maggio 2010
Evangelion.3
Evangelion è una storia che si è assicurata una longevità nel popolato mondo degli anime, è entrata nel circolo dei cult, seguendo la regola aurea del "non detto". Il trucco sta nel creare un mondo nuovo, fantastico ma plausibile e non spiegare tutto, lasciando allo spettatore il compito di aggiungere nuovi tasselli.
E' quella che Umberto Eco chiamerebbe "opera aperta".
L'aspetto più interessante di Evangelion è che uno dei diversi livelli della trama ci invita a calarci in una sorta di lettura psicoanalitica dei caratteri dei personaggi. E nello scandagliare queste singolari personalità ho scoperto una corrispondenza con le figure chiave della ricerca freudiana.
Breve spiega:
Superego è la figura a cui si tende, il modello ideale, è il censore delle nostre paure, delle pulsioni devianti dalla retta via che conduce al traguardo-premio di un esistenza.
Es è il custode dei nostri bisogni primari, è colui che vuole essere al centro dell'attenzione, servito, coccolato riverito in ogni capriccio, è volontà allo stato puro.
L'Io è il mediatore tra questi due approcci alla realtà ed in definitiva è la risultanza che costituisce la nostra personalità.
Tre livelli della mente che corrispondono ai tre piloti del Nerv.
Rei
E' il primo giovane pilota di un Eva: è una ragazza senza passato e senza identità, apparentemente succube del freddo e autoritario padre di Shinji, pronta a gettare la propria vita come un abito vecchio pur di eseguire il suo compito. C'è però un legame intimo e non spiegato tra i due, tanto profondo che la ragazza pare voler incarnare con tutto il suo essere i desideri del suo ambiguo pigmalione: puro e travolgente come acqua che scorre, limpido e folle come la fiamma. Non credo ci sia forma più compiuta di Superego, ovviamente alla giapponese. Il dovere nella sua massima espressione: il dono totale di sè. Il compimento di un destino che è una manifestazione di fede, dallo spirito alla carne e viceversa.
Shinji
Il figlio del professor Ikari potrebbe sembrare simile a Rei nella sua fragilità, ma Shinji non è mercurio che prende la forma del contenitore imposto. Il suo spirito è un metallo prezioso ma ci sono dei limiti alla malleabilità e alle tensioni a cui può essere sottoposto. Certo per ottenere una sua reazione occorrerà tormentarlo ben bene, perché la sua specialità è ripiegarsi su sè stesso in una sorta di schizofrenia che sfiora l'autismo. Il suo senso di colpa lo tormenta: è stato abbandonato dal padre quando è morta sua madre. C'è un trauma irrisolto nella sua breve esistenza e cerca con le sue fragili forze di superarlo, ma è un cammino impervio. Shinji è sempre in bilico tra la ricerca di un amore grande che lo sappia abbracciare e accettare nella sua fragile totalità e la fuga totale dal dolore: l'autodistruzione. Appena abbassa la guardia rischia di cadere, proprio come l'Ego che lotta quotidianamente per forgiare la nostra personalità.
Asuka
Esuberante, spavalda, irrequieta. In poche parole padrona di sè, o almeno così dà a vedere. Asuka ha un solo comandamento: primeggiare, stare al centro dell'attenzione, essere indipendente, forte. Vuole che si riconosca il suo coraggio e che il Nerv la incoroni salvatrice dell'umanità. Ma la sua ambizione non trova rispondenza nell'Eva, non riesce più a realizzare la sintonia necessaria a portare a compimento le missioni. Questo perché gli Eva non sono automi, sono esseri viventi e l'imperativo di Asuka - anche lei bimba in cerca d'attenzione - non è in grado di creare azione in quanto sa cooperare. E si tratta di un rapporto che manca di mutualità per la ragione che l'Es non cede e non concede, essendo il nucleo ultimo dell'individualità.
Quando nell'anime si svela - mai del tutto chiaramente - l'obiettivo della Seele ossia il nuovo uomo, si espone una teoria più gnostica che scientifica: un nuovo stadio evolutivo dell'umanità, un essere perfetto perché somma le mancanze di tutti. Una combinazione di vuoti e di pieni che dovrebbe rendere l'umanità finalmente riconoscibile a se stessa. Niente più paura dell'altro, cancellati razzismo o odio, basta con le discriminazioni e anche con le gelosie. Il nuovo uomo abbatterà le barriere del terrore per inaugurare l'era della concordia. Ma la Seele ha ragione? Le nostre paure, le nostre mancanze ci appartengono, non sono difetti bensì mattoni dell'anima. E allora non c'è il rischio che in questo ambizioso processo purificatore di fusione non venga forgiato un essere superiore, ma più semplicemente il Nulla da cui veniamo e a cui inevitabilmente dovremo tornare? Evangelion nelle sue continue riscritture e aggiunte apocrife sembra ancora in cerca di una risposta da offrire ai suoi numerosi seguaci. E proprio per questo motivo si assicura un posto nelle opere di culto.
giovedì 27 maggio 2010
Inside Evangelion.2
Cuore di Shinji
Penso che gran parte del successo di questo anime in Giappone sia dovuto all'identificazione di molti adolescenti e giovani con le traversie emotive e i deficit comunicativi di Shinji. Quella nipponica è una società dove la rigidità dei rapporti e il protocollo cerimoniale sono passaggi obbligati, forche caudine che richiedono al giovane il sacrificio di parte della propria individualità per "rinascere" come soggetto socialmente integrato. Possiamo così comprendere il fascino suscitato dai tormenti di un fragile ragazzo che resiste agli assalti del proprio infausto destino.
Visto da Occidente invece Shinji è un "eroe" assolutamente atipico, profondamente restio ad affrontare l'avventura che gli si para davanti. Fosse per lui la vita ideale sarebbe un viaggio in metropolitana con walkman incollato alle orecchie. Eppure sente che il richiamo di un destino oscuro, che picchia con forza sulla porta del suo rifugio precario. Shinji è nato da genitori che condividevano non solo un sentimento amoroso ma il sogno di un nuovo destino per l'intera umanità. Strano, perché siamo abituati a concepire l'amore come un antagonista del pensiero razionale, un sentimento esclusivo e condiviso da due persone che diventano coppia e nel farlo tracciano un nuovo confine tra loro stessi e il mondo. I genitori di Shinji rovesciano la prospettiva e fanno leva sulla loro unione per cambiare il resto del mondo. Un sogno più grande di loro, ma che può camminare con le gambe della Seele, sul sentiero tracciato dalle profezie contenute negli antichi testi e soprattutto animato dal cuore ferito del piccolo Shinji.
Inside Evangelion
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAtUOy6dxaEgUhyDUmDbi86R0YB7CuWh7Ed6PwgGOIMfJ1qLc6qF4E7bqOnJFtFaUZXNyuBIZ_b8T4xmzzI0uhyS-s6HNJZVrcOS3AIWg_0_gCwBbckC_6FkZNikxYEfOaqwnAvGXaI74/s200/evanlog.jpg)
Come leggere questa serie animata giapponese che parte come l'ennesimo cartone di botte e robot giganti e in sordina piazza sul tavolo temi impegnativi come la nascita e l'evoluzione dell'uomo, fino a spingersi all'esplorazione del confine psichico tra l'individuo e la specie? Temi complessi, quesiti filosofici, tutto travestito da "semplice" conflitto tra gli uomini e la misteriosa razza degli angeli.
La storia è quella di una Terra trasformata da un cataclisma chiamato Second impact, ossia l'impatto di un asteroide in Antartide che ha causato un innalzamento del livello del mare e la distruzione di gran parte del mondo.
I governi vendono all'opinione pubblica questo disastro come la replica del primo impatto che milioni di anni fa portò all'estinzione dei dinosauri. La verità è che una società semi-segreta, la Seele (dal tedesco: anima), seguendo una profezia contenuta nei rotoli del Mar Morto (antichi scritti di una setta precristiana), aveva scoperto in Antartide l'essere originario: Adam. Nel tentativo di riportarlo allo stato embrionale per innescare un nuovo stadio evolutivo dell'umanità, si è generata l'esplosione etichettata come Second impact.
Nel nuovo millennio gli uomini non sono scomparsi, ma si sono riorganizzati: esistono le antiche nazioni e i rispettivi governi, ma soprattutto l'agenzia Nerv che si occupa di fronteggiare la minaccia dei venturi angeli. Esseri enigmatici, gigantesche creature di energia e carne generate dal primigeneo Adam che tentano di distruggere la base Nerv di Neo Tokyo e impossessarsi dei suoi segreti: i supercomputer Magi che governano la città e le operazioni militari, la sala dove è custodito Adam, o ciò che ne rimane.
L'aspetto sorprendente dell'anime è che lasciandosi trascinare dalla rapida corrente della trama si finisce per urtare la ruvida parete di quello che appare un vicolo cieco senza capire il quadro generale. Il finale di Evangelion infatti non spiega nulla a livello razionale: l'ultimo angelo della profezia è stato sconfitto, il "robot" Eva 01 si è risvegliato, i piloti scoprono di essere pedine di un gioco più grande. Punto. Gli ultimi due episodi non procedono a livello narrativo perché sono dedicati all'analisi e alla "cura" dei traumi di Shinji, il figlio dell'enigmatico direttore della Nerv, il professor Ikari.
Il ragazzo si è distinto in combattimento dimostrando da subito, senza addestramento, la maggiore sintonia con l'Eva 01. E il motivo è più intuito che spiegato: gli Eva sono creature plasmate dall'uomo, derivati dall'essere originario e vengono governati creando una specie di empatia con i piloti. Più avanti si afferra che gli Eva sono animali privi di coscienza, governati più che pilotati, e rappresentano strumenti indispensabili per l'accesso al successivo stadio evolutivo dell'essere umano. Un processo che è il disegno segreto della Seele: creare un nuovo essere privo di paure e traumi, un essere ideale che aspira alla perfezione essendo la combinazione delle anime individuali degli esseri umani.
Ma qual'è l'essenza di un'essere vivente? La sua essenza non è forse delimitata da quello che nell'anime viene denominato, con un colpo di fantasia At field (absolute terror field): una sorta di barriera d'energia psichica che caratterizza ogni vivente e costituisce la membrana che protegge il nucleo dell'individualità. Singolare che questa proprietà sia stata identificata con la declinazione del terrore, stato d'animo estremo e forse per questo barriera verso l'altro. Nella quotidianità e "a basso voltaggio" l'At field può manifestarsi in un atteggiamento schivo, timidezza o spavalderia aggressiva, nella forma prodotta dagli Eva è un'arma.
E qui sorge un'altra domanda: cosa sono veramente gli Eva? Cosa ha usato la Nerv per "fabbricarli"? Sappiamo che la madre di Shinji è morta durante un esperimento non ben definito. Sappiamo che la sintonia con gli Eva può arrivare fino al dissolvimento fisico del pilota nell'organismo del gigante biomorfo. Forse qualcosa di lei è rimasto nell'Eva 01 che ha "l'odore del sangue" e non può che giovare alla sorte di Shinji proteggendolo nei momenti di crisi, dandogli tutta la forza che non ha per sconfiggere l'avversario di turno. Buona parte del racconto di Evangelion è incentrata sulle traversie del giovane Shinji, sulle sue debolezze, sul suo sentirsi smarrito e inutile. Si insiste sul suo tormento: "abbandonato" dalla madre morta e allontanato dal padre. Un uomo freddo e calcolatore interamente votato alla sua oscura missione.
Shinji cerca la sua approvazione, ma lo teme, teme un nuovo rifiuto che possa ferirlo e quindi è incline a respingere ogni contatto. Tra se stesso e gli altri piazza una pesante cortina che viene scambiata per apatia, un comportamento che sembra ogni volta spingerlo ulteriormente sulla soglia della schizofrenia.
Il suo equilibrio mentale è uno dei cardini della storia. Oltre lo scontro uomini e alieni, al di là delle profezie incarnate, Evangelion è il racconto della dimensione esistenziale assolutamente intima di un ragazzino turbato dal caotico fluire del mondo e ancora indeciso sul momento propizio per buttarsi. Shinji infatti agisce, ma soltanto su invito, meglio se a forza, strattonato: compiere delle scelte autonome significa dolore, rimorso, responsabilità.
giovedì 20 maggio 2010
Tina Modotti, una donna del ventesimo secolo
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Attrice, fotografa e rivoluzionaria
Una vita fra luci e ombre
Emigrante e attrice di cinema, musa rivoluzionaria e fotografa d’avanguardia, traduttrice di libri e agente segreto. Questi i molteplici volti di Tina Modotti (1896-1942), una donna del ventesimo secolo, raccontati in due volumi a fumetti da Angel Del la Calle, autore spagnolo, anzi un fiero asturiano, che ha siglato opere non solo in patria ma anche in Francia e negli Stati Uniti.
De la Calle si è tuffato alla scoperta di questo personaggio affascinante e poco noto raccogliendo informazioni e testimonianze. Un grande lavoro distillato con pazienza nel corso di anni arricchito da riflessioni e sopralluoghi nei Paesi frequentati da Tina Modotti. Questa graphic novel che ha riscosso riconoscimenti e consensi a livello internazionale ora viene pubblicata in Italia da 001 Edizioni.
Il racconto della vita di Tina Modotti è uno dei fili nascosti della Storia, ripercorrerlo è un’occasione per conoscere la vitalità e gli ideali che hanno soffiato nei primi decenni del Novecento e che potevano dare una svolta al mondo intero. I suoi viaggi, i suoi amori, la sua passione per l’arte e il riscatto degli ultimi sono materia prima per dipingere il grande affresco di un’epoca di nuove speranze. Il destino di questa emigrante friulana si è incrociato con grandi della letteratura statunitense come Ernest Hemingway e John Dos Passos, pittori messicani come José Clemente Orozco e Diego Rivera, poeti del calibro di Neruda e Mayakovsky. E poi gli agitatori politici e i rivoluzionari d’Europa e d’America che la contagiarono fino a farle dimenticare la macchina fotografica con cui aveva creato arte e documentato la grama vita dei campesinos messicani per gettarsi nell’impresa della rivoluzione socialista.
La sua esistenza affrontò molti drammatici episodi: vide morire il suo amante, oppositore del regime cubano, sotto i colpi di ignoti sicari, venne esiliata e si ritrovò nella Germania prenazista. Finì in Russia a lavorare per Soccorso rosso, compì pericolose missioni sotto falso nome in Spagna e Francia e lottò contro i golpisti del generale Franco. Infine tornò in Messico, al fianco di un agente italiano del partito comunista, e qui morì in circostanze misteriose.
L’opera di Angel De la Calle non è una semplice biografia, è un’avvincente indagine alla scoperta di una donna dai tratti moderni e anticonformisti, forte e sensibile. Lo stesso narratore, accompagnato dall’amico scrittore Paco Ignacio Taibo II, non resta indenne al suo fascino e si mette in gioco mostrando le sue ricerche e le sue ipotesi come in un poliziesco, ma senza condizionare il racconto nei numerosi passi della biografia di Tina Modotti rimasti oscuri. De la Calle mette sulla “tavola” tutte le carte, sta al lettore scegliere quale pescare per riuscire ad afferrare la sottile trama di una vita spesa tra la passione per l’arte e l’impegno civile.
mercoledì 7 aprile 2010
martedì 9 febbraio 2010
New hopes
Heroes
Se il presente è in costante balia dell’incertezza e della paura, quale futuro si profila per l’umanità? La risposta nel mondo dei serial è precisa: servono degli eroi. Così dalla massa spuntano individui eccezionali: volano, sollevano treni, guariscono, sparano radiazioni, viaggiano nel tempo e nello spazio.
Heroes è una risposta all’ansia di questi anni ondivaghi dove l’orizzonte pare custode del brusio del prossimo tsunami: quello definitivo. Va detto che la cultura americana ha sempre avuto un rapporto speciale con gli eroi: gli Usa sono una nazione giovane che ha dovuto misurarsi con la gloria degli imperi più blasonati, ricchi di storia e figure mitiche.
A questa grandeur gli Stati Uniti hanno dapprima opposto gli ideali universali di libertà, uguaglianza di fronte alla legge e possibilità di accesso alla ricchezza e al potere, in breve il mito della terra delle opportunità. Poi è sorto il culto dei Padri della patria e con le guerre e i morti sul campo di battaglia sono arrivati anche gli eroi nazionali. Il ruolo degli Usa nel mondo è cresciuto rapidamente e all’inizio del ’900 il Paese si è candidato a superpotenza lanciandosi nel primo conflitto mondiale.
I supereroi nascono negli anni ’30 quando la Grande Depressione rischia di affossare il sogno americano: chi potrà difendere i deboli in una fragile società multietnica? Chi potrà ergersi a paladino della giustizia quando chi la amministra è corrotto o impotente? Un privato superpartes, anzi un supereroe: intelligente, forte, buono e magico. Una divinità domestica che aggiusta le cose e poi se ne torna nell’ombra, nessun premio se non l’intima soddisfazione del bene donato.
Si è detto che è "fortunato il Paese che non ha bisogno di eroi", ma non quando le istituzioni mentono, portano via i tuoi figli a morire in un deserto, limitano le tue libertà. Allora cresce la sete di verità, pace e giustizia. E se questi capisaldi mancano in chi governa serve un contrappeso per impedire che gli equilibri sociali saltino.
Heroes è la soluzione: ripartiamo dal basso, dalla gente, o meglio dal common people. La nuova speranza cammina per le strade del Bronx, va in taxi a Manhattan, stura i lavandini di un drive in texano, zappa in una fattoria dell’Arkansas. Sono persone che hanno scoperto d’avere poteri incredibili e che stanno imparando ad usarli. Alcuni rinunceranno, altri compieranno il fatidico passo in avanti nella consapevolezza che la risposta alle speranze perdute non può che venire da noi stessi. Eroi di una nazione sotto assedio, alfieri di un sogno di tollerante convivenza multirazziale e multietnica, crogiolo di culture e religioni. Un sogno che può ritrovare la sua forza se gli "eroi di tutti i giorni" inizieranno a viverlo ad occhi spalancati.
mercoledì 3 febbraio 2010
War & terror
LOST
Non sappiamo dove siamo, non possiamo fidarci di nessuno, l’unico obiettivo è la sopravvivenza. Non è l’isola dei famosi, ma sono le coordinate narrative di Lost, altra serie di successo planetario che appartiene al filone del fantastico-catastrofico fiorito dopo la seconda guerra del Golfo.
L’incipit trama pare uscito dalla penna di Jules Verne: un aereo fuori rotta precipita nel Pacifico, i superstiti arrivano su un’isola che dire misteriosa sarebbe un eufemismo. Si susseguono apparizioni incomprensibili, scoperte sconcertanti e sparizioni metodiche che mettono a dura prova gli scampati al disastro. Vari flashback ci mostrano le singolari vicende che hanno segnato le esistenze dei passeggeri del volo 815: un medico sfiduciato, un paraplegico miracolato, un milionario obeso, una rockstar drogata, una parricida allucinata e chi più ne ha ne metta. Ogni personaggio è un "wafer" di ipocrisie, complessi, segreti e rimozioni più o meno volute. Tanto da cominciare a nutrire seri dubbi sulla casualità dell’assortimento dei passeggeri dello sfortunato volo: sono forse stati prescelti? O rappresentano un campionario delle nevrosi della nostra società?
Dopotutto quale è il "brodo di coltura" di questo avvio del terzo millennio: è stata proprio la mano di Bin Laden ad abbattersi sulle torri gemelle? Le armi di distruzione di massa erano davvero nelle mani di Saddam? Quesiti da consegnare alla storia, domande che svelano la logica di una guerra avviata per scampare allo spettro di una recessione economica.
Lost significa perduto, ma la traduzione letterale è riduttiva. Nella serie in questione il termine Lost è uno smarrimento non soltanto fisico, ma spirituale. È il marchio di una generazione che ha perso i propri riferimenti. L’oceano stesso che separa i sopravvissuti dal resto del mondo, in realtà è un grembo liquido che accoglie gli smarriti affinché possano superare i fossati delle diffidenze e dei pregiudizi, andare oltre le verità non dette e quelle proclamate. Non tutti sono destinati a tornare dal rischioso trekking nel lato oscuro della vita, ma è un percorso necessario se non vogliamo essere perduti per sempre.
martedì 2 febbraio 2010
Twin Towers after
Galactica
C’era da aspettarsi il peggio dal remake di una delle serie fantascientifiche più in voga negli anni ’80. Galactica era curioso mischione di mitologia e pistole laser che cavalcava l’onda di Guerre Stellari. Ma bastano cinque minuti della nuova edizione per capire che il piano narrativo ha fatto un balzo portentoso: stop al rimpiattino tra indiani e cowboy, niente personaggi macchietta. Il nemico non è un pupazzo di latta con l’occhio a led rosso. È vivo, è tra noi: anzi siamo forse noi.
La novità più forte della serie è il senso di insicurezza: viene rappresentata una civiltà ferita, braccata. I Cylon, il nemico, ora hanno sembianze umane e sono pressoché indistinguibili dai cittadini delle Colonie. C’è però una sensibile differenza: i nuovi Cylon credono, manifestano la fede in un dio e in un segreto - almeno per gli uomini - destino. La gente delle colonie crede invece negli dei di Kobol, un pantheon che richiama quello della Grecia classica. Lo scontro è tra la tenue fede panteista dei coloni e un tenace monoteismo robotico dai tratti integralisti.
Battlestar Galactica è un prodotto che porta il marchio infuocato «post 11 settembre 2001». Le similitudini con fatti accaduti realmente, per quanto proiettate nello spazio e in contesto fantascientifico, sono straordinariamente sfacciate. L’attacco a tradimento alle Colonie ricalca quello al World Trade Center, la militarizzazione della società e gli attriti tra politici e comandanti in campo sono lo specchio della controversa «Guerra al terrore» lanciata dal presidente Bush. Ci sono anche echi delle torture di Guantanamo quando i Cylon umani cadono nelle mani degli infuriati coloni. Il confronto tra le due fazioni è molto fisico, fallita l’intelligence e l’alta tecnologia, si ritorna alle mani, alla polvere da sparo. Sangue, morti, resistenza, bombe umane e tradimenti: più che a cronache dallo spazio sembra di assistere all’irrisolta guerra antitalebana in Afghanistan o all’estenuante campagna di «liberazione» dell’Irak. Galactica è la trasposizione spaziale del cammino di un popolo in lotta per riaffermare la propria identità.
giovedì 28 gennaio 2010
Young & trendy
Friends
Tre ragazze e tre ragazzi. Sono squattrinati e carini, un allegro manipolo che divide un paio di appartamenti al Greenwich village di New York in attesa di affermarsi sulla ribalta della vita. Squadra di solisti, smaniosi di riflettori, ma in fondo ancorati al microcosmo dei propri affetti.
È stato bello nel corso delle dieci stagioni vederli pulsare nel cuore di una Big Apple da cartolina a colpi di battute e frecciatine. La miscela era in perenne ebollizione: il professorino Ross, mammone e romantico si becca con l’arguto e complessato Chandler che aiuta il compagno di stanza Joey, tenero sciupafemmine un poco tonto. Oppure la bellona Rachel, aspirante moglie ricca e nullafacente che serve ai tavoli del bar, viene punzecchiata dalla puntigliosa Monica, amica del cuore e chef in erba, sotto lo sguardo enigmatico della svampita e genialoide Phoebe.
Friends ci ha accompagnati per un decennio: segnando la parabola degli anni ’90 più fatui e speranzosi. La politica internazionale pareva stabile, in disgregazione i muri storici e i blocchi contrapposti. Poi è venuto il 2001. L’attacco alle torri gemelle, simbolo economico dell’american way of life. Una tragedia planetaria proprio a un tiro dal condominio dei nostri ragazzi. Friends ha continuato a far ridere, ma la freschezza era perduta, il giocattolo rotto. La serie è diventata in una delle tante riserve del sorriso a buon mercato.
martedì 26 gennaio 2010
Specchi e brame
I nostri anni visti in tivù
La televisione può aspirare al rango di specchio della realtà? Di certo negli ultimi trent’anni i programmi televisivi di intrattenimento - nella fattispecie i cosiddetti telefilm - hanno cercato di spalancare finestre sul reale in cerca di novità. E in alcuni casi abbiamo visto produzioni che si sono rivelate un’efficace istantanea dei nostri tempi riuscendo a registrare «a caldo» sensazioni e aspirazioni nell’aria. Il campo di sperimentazione più valido sono ovviamente gli Stati Uniti, patria consolidata delle produzioni televisive seriali, che negli ultimi 15 anni si sono dimostrate la palestra più vivace di idee e mode.
Diamo un'occhiata ai quattro pilastri
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